Ascoltare

Sto facendo fatica a unire, assemblare pensieri per l’argomento della settimana. Il mio approccio alla realtà finzione è la mia scelta di vita da bimbo a professionale da quasi 50 anni. Per me non esiste migliore combinazione. Tra un naso e un orecchio. Entrambi ascoltano, entrambi con la loro realtà ed entrambi fingono su ciò che sono e che sanno. Altre volte prima di scrivere ho realizzato un audio che ho poi tradotto in scrittura.

Stavolta no, solo parole scritte. Oggi si discute, si mettono idee in campo su qualcosa che secondo me è monumentale. È l’albero che ho dentro, che abbiamo tutti dentro, l’albero del gusto, che cresce con i suoi ritmi naturali e merita un flusso continuo di concretizzazioni senza dubbi, senza ripensamenti.

Action e ancora action anche con ogni tipo di astinenza amica di pazienza.

Pausa. Sopportazione. Coraggio. Fede.

Ieri ho ricevuto un complimento mentre parlavo con una giovane psicologa alla quale ho chiesto la partecipazione ad un mio documentario dedicato alle donne. Lei dopo un mio vorace esplicativo, come di solito mi accade, come di solito faccio, mi ha detto che per capire me, il mio interlocutore, deve allentare piuttosto che creare ostacoli, solo così entrambi ci portiamo a casa un vissuto traducibile.

A questo punto, prima di sbizzarrirmi in una storia, cerco il quid, il titolo, non so ancora quale, in questo caso, mi piacerebbe fare una panoramica su questa coppia di belle figurine, finzione e realtà, su questa opportunità.

È come vedersi allo specchio in pubblico, è come una platea intera, composta in gran parte da gente che non si conosce, che vede solo una tua immagine, non sa come sei nudo, come sei appena sveglio, non sa quanta puzza fai in bagno, come sei sotto la doccia, non come ti lavi i denti e quando, o come e quando rifai il letto, se russi o meno, se canti non soltanto sotto la doccia. Una platea che non sa se sei innamorato o meno, non sa chi ti piace e chi ti fa meno piace, non sa come mangi e cosa offri, non sa se cucini bene o ti astieni, non sa se fumi o se sei savio, non sa se sei roccia o rocciatore, non sa o se sa poco piuttosto immagina. Questo è il senso, realtà finzione.

Che meraviglia l’IMMAGINAZIONE.

Questo è il frutto. Il concettuale. Insomma questa gente con conoscenza approssimata ti accompagna dal barbiere o a comprare un abito, o un paio di mutande … come se fossi ancora in scena. Riesci a immaginare? È più che un reality.

Mettiti anche tu in mezzo a questa folla, follemente. Ognuno di loro, voi, avete voglia di dire, di parlare, vedere come vede l’attore, cosa sente, come si muove oltre la scena, la definizione di un personaggio. Ognuno, apostrofa con la sua realtà o la sua finzione. Siamo più finti che reali, quelli senza una verità, senza una fede. È solo una grande allucinazione, è roba da film, da racconto fantastico, nessuno può sapere realmente cosa pensa una persona, lo può solo immaginare e neanche può capire cosa vuole fare e dove va, il senso delle sue azioni, è forse solo un caos. C’è o non c’è il punto interrogativo o è una affermazione, c’è che se c’è una può essere l’altra, allo stesso tempo. Il falso vero o se ti piace il vero falso…

Che la realtà è femmina e la finzione è maschio è un gioco infantile. Entrambi come il nome Andrea contengono il femminino e il mascolino. Quanto complico le cose?! Io ci sguazzo tra realtà e finzione! Ok, che cavolo scrivo?

La realtà quando è stata realtà, diventa passato, consumato, è una realtà dell’appena adesso. Quando è stata l’ultima realtà, l’ultima goduria, fermiamoci a pensare, assieme. Cosa è veramente la realtà.

Vorrei tanto scrivere una storia su questo tema, so che nel momento che scrivo sono già in tema perché combino le due cose, scrivo una realtà che non è già più realtà e quindi nel frattempo fingo una realtà. Io voglio e posso godere la realtà così com’è come la costruisco.

Vedo questa foto. Due gambe da donna, una gonna di tulle nera che ruota come un hula hoop, non si vede, si immagina chi ci sia dalla vita in su. Si vede l’ombra. Dalla luce penso che è un esterno giorno, in area condominiale o piazza vicino ad abitazioni o negozi. Le scarpe sono con il tacco. Le gambe sono belle, la donna in questione è di taglia media. E se non fosse una donna, se fosse un uomo travestito. In questo caso mi sembra difficile, ma mai dire mai. Il ribaltamento del pensiero. Chi si incuriosisce? Tu? Io? Tutti quanti?

Quando si ribalta un pensiero e si pensa fuori copione si improvvisa. Dipende da mille cose, o da una sola, io credo che dipenda dallo stato vitale, dall’emerso e dal rimosso. Dipende da che cosa si scappa, da cosa veramente vuoi, cosa non si capisce. Da quanto vuoi scommettere su un tuo immaginare. Sul nuovo. L’ambiguità è la più grande condizione di realtà e finzione che io conosca ed è la più brutta perché oltre a essere fuorviata dalla tua/sua stessa immagine, è una fuorviante essenza del presente per sé e per chi la vive.

Ho visto in questi giorni la serie Wanderlust che è una parola inglese che definisce uno stato d’animo, intraducibile in italiano, per cui chi ne è afflitto è spinto da un desiderio irrefrenabile di viaggiare ed esplorare il mondo. È proprio la wanderlust a spingere Joy e Alan ad andare alla ricerca di altre esperienze, spingendosi, appunto, fino ad avere relazioni extraconiugali alla luce del sole. Il tutto è arricchito da una bella colonna sonora, tratto distintivo della serie: ogni episodio annovera canzoni di qualità che amplificano, il mio piacere, la mia nutrizione e sottolineano le emozioni mostrate sullo schermo.

Fin da piccolo ho allargato i confini di ciò che rappresentavo con chi mi porgevo. Raccontavo storie, storie, storie, storie e altre storie… le facevo passare per vere. È stato un grande allenamento.

Adesso cerco ogni volta un grande qualcosa, qualcosa che mi stimoli a fare abbracciare queste entità, la logica della realtà e l’illogica della finzione, come anche l’illogica della realtà attraverso un altro punto di vista e la logica della finzione attraverso un altro punto di vista. Surreale. Sciamanico. Per capirmi bisogna allentare. Forse anche amarmi, questa condizione è più bella, più felice.

Scrive Franco Fortini. “Scrivere è necessario anche se apparentemente sembra inutile: il dibattito nella comunità è ormai sopito; oppressore e oppresso vivono l’uno accanto all’altro;  “l’odio è cortese” e non si sa più di chi sia la colpa” (…) “La poesia non muta nulla. Nulla è sicuro, ma scrivi.”

La vera trasformazione che compie la creazione, l’immaginazione, è l’arte, la creatività, la curiosità sono dentro di noi, non fuori di noi.

Voglio ciò che voglio. Per volerlo lo voglio. L’autentico è il finto.

Il lupo e la lupa decidono di usare parole che contengono solo le lettere e la composizione dei loro nomi.

Lupa. Lu?

Lupo. La!

Lupa. Lalallà?

Lupo. Popò

E vissero felici e contenti

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