Il Calamaro Gigante

Si può fare sempre di più soprattutto quando ci si sfida in uno spettacolo sfidante, composto di quadri associati e dissociati per una storia molto frammentata.
Le note del programma di sala ci dicono che “per chiunque salga a bordo di questo spettacolo (…) la storia più incredibile di tutte è proprio la realtà” Segue dicendo che l’obiettivo è incantare lo spettatore. Alla luce di quello che è stato mi sembra che l’invito sia stato formale, mi sembra che non abbiamo avuto, almeno io, una scaletta per salire a bordo ne tantomeno una mano.
Per me è facile essere incantato, e per esserlo non basta la bravura degli attori, la simpatia del coro o gli effetti luce o le proiezione. E non basta che questo Calamaro Gigante ci invita a “credere nei sogni e a farsi guidare da loro”. No! Non basta. È vero che tra dire e fare c’è di mezzo il mare e in questo spettacolo c’è simbolicamente tanto mare.

al Teatro ABC di Catania dal 4 al 19 gennaio 2025

Sono stato ieri al teatro ABC con biglietto pagante a prezzo pieno pur essendo un operatore culturale riconosciuto. Desidero a volte andare a bussare al teatro di rivista, al teatro dei grandi numeri, della produzione di serie A, quella di giro, dei grandi teatri. Quella da 10 repliche. Il teatro di abbonamento e ieri c’era veramente tanta gente, teatro pieno, direi da operatore culturale “che bello!!”. Detto questo, cosa posso dire su questo spettacolo.

Dalla sinossi del libro di Fabio Genovesi edizioni Feltrinelli ” Del mare non sappiamo nulla, però ci illudiamo del contrario: passiamo una giornata in spiaggia e pensiamo di guardare il mare, invece vediamo solo “la sua buccia, la sua pelle salata e luccicante”. Forse perché appena sotto, e poi giù fino agli abissi, c’è una vita così diversa e strabiliante da sembrarci assurda, impossibile. Come per secoli è sembrata impossibile l’esistenza del calamaro gigante, il mostro marino che ha mosso alla sua ricerca gli esploratori più diversi. Come il sacerdote Francesco Negri, che nel 1663 a quarant’anni compiuti parte da Ravenna per la Scandinavia misteriosa, diventando il primo viaggiatore a raggiungere Capo Nord. O come il capitano Bouyer dell’Alecton (a cui si ispirerà Jules Verne per scrivere Ventimila leghe sotto i mari), che mentre naviga verso la Guyana nota all’orizzonte qualcosa di inaudito: è la prima testimonianza del calamaro gigante, dei suoi occhi enormi e intelligenti, dei tentacoli come terribili serpenti marini avvinghiati alla nave. Ma nessuno gli crederà. Sono pochi infatti gli scienziati che ascoltano le parole degli uomini di mare – naviganti, pescatori, indigeni… –, i più le credono bugie da marinai o allucinazioni collettive: quel che hanno visto contraddice tutte le teorie che abbiamo scritto finora, e quindi non l’hanno visto. Fabio Genovesi racconta la vera storia di questo impossibile, del calamaro gigante e di chi lo ha cercato a dispetto di tutto, insieme a mille altre storie che come tentacoli si stendono dall’oceano a casa nostra. Ricordandoci che viviamo su un pianeta dove esistono ancora i dinosauri, come il celacanto, o animali come gli scorpioni che sono identici e perfetti da quattrocento milioni di anni, invitandoci così a credere nell’incredibile, e a inseguire i nostri sogni fino a territori inesplorati” Leggiamo scoperta, sguardi, voglia di osare, desiderio di comunicare ogni “oltre”.
Quindi grandi aspirazioni, bravi attori Angela Finocchiaro, Bruno Storti, i ragazzi del coro che si danno un gran da fare, gente di comprovata esperienza come il Regista Carlo Sciaccaluga degno figlio di cotanto padre Marco.

Secondo me l’inghippo sta nella “tavola cunzata” detto siciliano che significa “la tavola è l’unica cosa che vedrete“. Si, ho visto la tecnica e non il cuore, ho sentito il contesto benfatto, la strategia, la possibilità di offrire tempo da consumare ad un pubblico pagante, il pubblico degli abbonamenti che di solito sceglie il pacchetto come il cineclub. Io non ho visto nient’altro che la scena.

Le note di regia ci spingono a pensare che nello spettacolo c’è una spinta educativa. Ecco, vorrei abbracciarlo e dirgli che forse nelle sue intenzioni c’era questa idea. Mi sembra che ci abbia dato il libro e consigliato di leggerlo, semmai l’avesse letto con noi spettatori, sarebbe stato magnifico. Questo penso sia un sistema usurato, quello delle regia in fila indiana. Lo scrivo e lo dico perché in tutti i momenti in cui c’è stato un “attimo” di relazione con il pubblico si è poi trasformato in un pensiero già pensato. Un momento poetico c’è stato: quando per circa 3′ è saltato l’impianto audio in sala e sono saltati i microfoni. A volte amplificare la voce non serve se non specificatamente uno strumento di regia.

Il teatro di tutti i tempi a maggior ragione il teatro contemporaneo, quello dell’adesso, deve valere il biglietto. Il teatro che evolve ha il compito di proporre qualcosa. Il teatro necessita di un garante (la messinscena) che ci vuole portare da qualche parte. Il teatro, la spettacolarizzazione di un’opera, il lavoro di drammatizzazione, desideriamo che ci abbracci mentre aspettando il momento giusto, l’ascolto, imprime quell’emozione che diventa esperienza, cultura, approvvigionamento. Da tale vissuto diventa educazione. Caro Fabio suggerisci al regista più coraggio, grazie. Vs devoto spettatore collega Salvatore

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