Quando penso a te o scrivo a te per un attimo mi chiedo se questo significa “insistenza”. Poi rifletto, mi rassereno e penso che è una connessione che metto in atto, invisibile, di vera bellezza, di esposizione nuda del mio sentire. Se scandaglio queste tre parole invisibile, vera, bellezza riesco a riassumerle tutte in un concetto infinito che è “l’ adesso” ovvero il momento presente “l’istante” in cui devi decidere, se scrivere questo messaggio o fare altro. Non è sempre così. Quando è veramente forte preferisco scriverlo perché riconosco la sfida che contiene. Le verità sono infinite, laddove sono così profonde vanno espresse.
La bellezza del sentire
Qui il sentire è posto come un richiamo, come una voce forte e decisa che ci dice di assecondare una intuizione. Fa parte della nostra sensibilità di ogni “sentire” a cui ho dato attenzione, orientando le mie scelte anche se da visionario e senza “utili” senza nessun “avere” o contropartita, più delle volte controvento.
Vivo di quell’incoscienza di cui ne ho fatto un’arte. Poi diventa manifesta, ma questa è un’altra storia. Da sempre è così. Racconto un esempio di oggi, un bell’incontro e come si è evoluto.
Anni fa mi incuriosì il lavoro di Simona Di Gregorio che al momento con tanta maestria conduceva un attività di insegnante di canto per un gruppo di persone di ogni età sotto l’insegna UnicaVuci Catania, un coro popolare aperto a tutti, senza distinzione di età, di genere, di provenienza. Bene!!
Rimango affascinato. In quel periodo stavo realizzando interviste preparatorie per un film di cui al momento c’è solo un teaser. Chiedo a Simona la possibilità di fare una intervista. Lei mi dice che avrebbe lavorato a Giarre i giorni successivi e mi invitava ad andare con loro così avrei potuto seguire lei e il suo gruppo, era ad aprile 2019.
Salgo in macchina con lei e musicisti. La intervisto in ogni momento utile. Realizzo anche altro materiale. Poi le scrivo e le offro di completare con tutto il gruppo altre riprese, ne avevo già un bel po’, per il montaggio, pro bono, di uno spot dei CASENTULI, formazione di musica popolare.
Ieri, 09 marzo 2025, dopo quasi 6 anni, guardo la serie Il Gattopardo su Netflix e riascolto quella bellezza di voce e bravura, felice ed esaltato nell’avere conosciuto e intercettato la sua capacità molto tempo prima e che avevo già pubblicato proprio quell’inno di gioia.
La lungimiranza che all’inizio ho definito come incoscienza ed ogni ciò che porta è il mio mood, mi piace!! Sono i prodigi dell’arte e la sua volontà di esistere. Di seguito i tre momenti dove c’è Simona che porto alla Vs attenzione. Il silenzio, l’aspettare,
Il Gattopardo | Spunta lu Suli | Netflix
Da cosa nasce cosa. Detto ciò, elencate le esperienze suddette, porto in evidenza un bella intervista a Elisa Coclite, in arte Casadilego ospite di Stefano Bollani e Valentina Cenni che in una recente puntata del programma televisivo Via dei matti n.0 hanno ricordato, con un tocco personale e coinvolgenteAhmad Jamal, uno dei pianisti più influenti e innovativi della storia del jazz. Un incontro straordinario in cui musica, improvvisazione e dialogo si intrecciano per dar vita a un viaggio sonoro unico.
Trascrivo il loro dialogo sul “valore delle pause”
. Quanto è importante per te fermarti, fare silenzio?
. Nella vita o nella musica?
. Nella vita e nella musica!! Tutte e due!!
. In entrambi i casi è necessario “il silenzio”, “l’aspettare”. L’ascolto soprattutto”!
. Eh sì bisogna fare spazio no, l’importante è fare il vuoto per capire cosa è necessario… si cambia continuamente…
. Sì, è semplice, ma non così tanto in realtà. Da dire non c’è molto, nella pratica è più difficile di quello che sembra
. Fare silenzio, “sì”, sono tante tante persone che parlano dentro di te, metterle a tacere, stare in ascolto
. Si, ascoltarle più che metterle a piacere..
. Ah, ascoltarle ecco, queste moltitudini che lei ha dentro vogliono essere ascoltate, ha ragione giusto, poi quando ce ne sono troppe… fai silenzio e ascolto qualcos’altro!! E invece la musica, che cos’è per te nella tua vita? Oggi facciamo domande proprio esistenziali, domande importanti.
. Cosa non è?
. Cosa non è la musica?
. Penso che non ci sia una cosa che non sia strettamente intimamente legata alla musica nella mia vita la sto facendo fatica a trovarne una tua vita
Parola
Fare di un attore un attore è la più difficile delle soluzioni. Tendenzialmente l’attore si ripete e solo con allenamento, tecnica, perseveranza e bravura gli può riuscire di trovare il personaggio da interpretare. Le modalità con cui un attore porge un racconto al pubblico sono tante, le parole una di queste. Ci sono tanti altri aspetti da attenzionare. Scegliere l’attore perfettamente coincidente al copione o fare in modo che lo diventi significa avere rispetto di un sistema antico chiamato rappresentazione, teatro, dialogo eterno tra attore e spettatore in qualsiasi luogo o condizione avvenga. Lo standard è questa modalità, una magnifica resa, il resto è spreco. L’arte è saper stupire dopo un’idea con una dottrina e liturgia di fede. Facendo così la platea porta a casa il retrogusto del palcoscenico che non vede l’ora di rivedere la platea al prossimo aprire di sipario.
Siamo dei
Fermarci a pensare. La musica ti rimette in pace con l’universo.
Stamattina la prima cosa a cui ho pensato è questa canzone di Lucio Dalla
Siamo dei, E ci muoviamo nello spazio profondo, Corriamo dietro ai tuoni, ci pettiniamo, E aspettiamo la fine del mondo, Mentre tu, pover’uomo, Non sei niente di speciale, Devi anche lavorare e poi chiedere perdono, Siamo Dei, Figli del sole, invece tu chi sei?, Tuo padre è stato il dolore, Un momento, un momento, Ho anch’io qualche argomento, Ho un amico che è un campione di rock, E riesce a ballare per tre giorni e tre notti, Senza doversi fermare, E un altro che ha la voce, Da basso e con una mira, Che ti stacca la coda di un cane con un sasso, se lo tira, E poi ho (ho) un grande amore (amore), Un amore di ragazza che mi aspetta, E se non torno esce pazza dal dolore, poveretta, Ed ogni estate do il mio voto e vado al mare, E resto nudo tutto il giorno, mmh, Fa molto bene abbronzarsi e poi nuotare, Se mi vedessi quando torno, Ma cosa credi di fare? Dove credi d’andare?, Non hai più aria per poter respirare, Non c’è nessuno che ti possa aiutare, Ed ogni giorno che, che vola via, Scopri di avere una nuova malattia, Oh, oh, uh, brutto uccello, Ti ha mai detto nessuno che un Dio dovrebbe essere più bello, E poi non ho capito l’ultima riga, Non sarà che a stare sempre nello spazio, Hai imparato a portar sfiga?, Eh, eh, eh, su quale giornale scrivi?, Noi non siamo ancora morti, Se possiamo guardarci in faccia, Vuole dire che siamo vivi, Noi siamo Dei e la tua vita è un inferno, O qualcosa di più atroce, Potresti vivere anche tu in eterno, Se ti pentissi e se abbassassi un po’ la voce, Oh, oh, oh, brutta specie di un aeroplano, Ma non ti accorgi che stando in alto vedi il mondo da lontano?, E per che cosa mi dovrei pentire? Di giocare con la vita?, E di prenderla per la coda, tanto un giorno dovrà finire, Eh, eh, e poi, all’eterno ci ho già pensato, È eterno anche un minuto, Ogni bacio ricevuto dalla gente che ho amato (Fonte: LyricFind Compositori: Lucio Dalla)
Dalla 1980. L’album fu il più venduto dell’anno e comprende tracce di successo come Balla balla ballerino, Cara, Futura e La sera dei miracoli, che entrarono a pieno titolo nella cultura musicale italiana dell’ultimo scorcio del XX secolo.
Contiene inoltre la canzone Meri Luis, considerata dallo stesso Dalla la sua canzone «più vera, più autentica» e reinterpretata nel 2011 da Marco Mengoni. In un’intervista su Radio Deejay, Dalla ha dichiarato che l’inizio strumentale del brano è ispirato a Milestones di Miles Davis, album che Dalla considerava il migliore del grande jazzista statunitense.
La copertina è una fotografia realizzata da Renzo Chiesa realizzata agli Stone Castle Studios di Carimate, s’incentra sul cappello di lana dell’artista sovrastato dai suoi occhiali, ed è diventata iconica per il cantautore.
Circa nove anni dopo la pubblicazione dell’album la canzone La sera dei miracoli fu usata come sigla di chiusura del programma televisivo di inchiesta giornalistica La notte della Repubblica di Sergio Zavoli. Il brano è dedicato a Roma.
Il 13 novembre 2020, per celebrare i 40 anni dall’uscita, l’album “Dalla” è stato ristampato da Sony Music (Legacy Recordings) in un’edizione limitata rimasterizzata per recuperare le sonorità originali.
fonte https://it.wikipedia.org/
Libertà
Rimanere libero, appassionato, e guadagnare terreno è una lotta continua. Colgo il mondo, agisco, in tante occasioni e in tutti i modi lo illumino, anche nell’incredulità dei confini, ogni condizione. Altri ne sanno così l’esistenza. Come una fontana prima nascosta, alla luce, consumano all’insaputa solo una parte, quella apparente. A volte ancora peggio nascondono, se ne appropriano convintamente alterati da vanti inutili. Sono così, poetico e ingenuo. Troppo. Così non mi ci vogliono sentire, anche se sono occasioni per scrivere di libertà, come sto facendo. Adesso.
Quando è uscita la canzone Era già tutto previsto di Riccardo Cocciante io avevo 16 anni e già da qualche anno mi muovevo come dj in feste e in radio. Ero molto libero, la mia situazione familiare lo permetteva. Poi questa libertà è passata anche dalle catene in quanto “esagerazione”. Libero di inventare e non libero di essere.
Ascoltiamo questa canzone. Un canto di esplorazione, di apertura, un siparietto, una parentesi tra vari ascolti. Questa canzone è stata, recentemente, ritmo ed essenza, colonna sonora di una scena in un terrazzo in penombra su coppie che abbracciate ballano in Partenopee di Paolo Sorrentino. Guardo questo mix, proiezione di un passato trasformato in eternità, questo è il suo mood che percepisco, questa canzone, infiniti baci.
Francesco Cammilleri di San Cataldo (CL) l’ha ben interpretata a The voice senior su Rai UNO. La riporta a me mentre ceno e mentre già decido che sia un post adesso qui. Questa canzone è contenuta nel 33 giri L’Alba di Riccardo Cocciante in cui alcuni brani come Canto popolare, poi riproposta da Ornella Vanoni, respirano di rivoluzione, comunicano un senso di marcia, quella dei contestatori, come una silenziosa protesta, l’autorità che si percepisce nel momento in cui un uomo punta alla libertà.
La prima libertà è quella di pensare, vivere, immaginare. La libertà che cerca essa stessa, la libertà. Per me la semplicità è libertà. La natura di ciò che si è, come da ragazzi. Una libertà anche immatura. Divergente divergenza con la realtà. Libertà che si conquista attimo dopo attimo con ogni sforzo. La libertà di vivere bene nel senso veritiero del termine, di partecipare e costruire lo scorrere delle cose. La libertà adeguata alla propria esperienza, al proprio sapere, al proprio gusto e soprattutto a tutti i propri desideri che realizzati diventano “partecipazione”.
La libertà. Una rete di desideri.
C’è anche la libertà di alzarsi e andarsene. Il tempo diviene immobile laddove non c’è una libertà condivisa e partecipata. Chi è generoso è anche libero. Chi è generoso non ha quasi mai il senso della misura… come per i sogni, fare l’amore, i baci e amare. Grande senso di libertà non vincolare la libertà di altri, lasciare che facciano, semmai lontani, la loro libertà. Libertà di dire e di essere ascoltati. Chi è libero fa qualsiasi cosa tranne manipolare. Il cinico ha poco a che fare con la libertà. Il cinico mastica.
Ci contraddiciamo spesso sul termine e sulle sue capacità di essere liberi, perché siamo assoggettati a meccanismi esterni. La vita è una comunione di intenti e l’agire di uno diventa giostra di altri.
Alla conferenza accademica dedicata al Don Giovanni di Mozart ascolto il relatore che dice “un uomo che ama celebra il suo desiderio e con il matrimonio rinuncia ad una libertà in nome di una appartenenza ad una cellula sociale“. A tal proposito Umberto Galimberti scrive “Molte persone concepiscono l’amore in maniera possessiva. Mia moglie, mio marito… togliete questi possessivi. Non c’è niente di vostro, l’altro è un altro. Anche i matrimoni possono essere possibili solo se partono dal concetto che Lei o Lui è un altro. La condizione elementare e fondamentale per continuare a vivere si chiama amore. L’aveva detto bene Freud: la vita funziona se qualcuno ci ama. Amore è tutto ciò che aumenta, allarga, arricchisce la nostra vita, verso tutte le altezze e tutte le profondità. Noi viviamo finché c’è qualcuno che ci ama: sono convinto che molte persone anziane ‘se ne vanno’ perché nessuno le ama più. L’amore è la categoria della vita ma comporta una condizione di gratuità: oggi mancano le condizioni dell’amore perché la gratuità viene derisa e vista con sufficienza, come qualcosa di patetico e l’Altro viene, considerato come un oggetto, qualcosa da rivendicare come nostro, come possesso. Ma voler possedere l’altro, significa non amare. Come diceva Fromm: L’amore immaturo dice: ti amo perché ho bisogno di te. L’amore maturo dice: ho bisogno di te perché ti amo”.
Come faccio a essere libero? Perché a volte essere liberi lo è si apparentemente. Aggiunge Natalia Ginzburg “Quando sentiamo parlare di “libertà”, istintivamente noi drizziamo le orecchie come cani da caccia. Abbiamo la sensazione che venga menzionato qualcosa che ci riguarda personalmente. Eppure la parola “libertà” è cambiata in noi e forse nessuna parola ha subito una simile trasformazione. Forse la parola luna ha subito un analoga trasformazione da quando “la luna” è stata esplorata. La parola “libertà” è comunque per noi oggi irriconoscibile se la mettiamo accanto a ciò che era. Invano cerchiamo il nostro spirito l’antico squillo argentino e solenne. Esso si è spento da tempo. Noi da tempo abbiamo preso a pensare che la libertà sia forse una delle parole più scure e difficili, complicate che esistono al mondo (…) Noi siamo perciò insieme dei padroni e dei servi. Padroni perché abbiamo dei privilegi. Servi perché abbiamo una profonda mutilazione nella nostra conoscenza umana. Di questa è nostra doppia natura di padrone di servi, della nostra, giovinezza quando aspettavamo la libertà non eravamo affatto consapevoli. La delusione che abbiamo provato è vecchia e nota. Raggiunta la libertà non eravamo affatto consapevoli. (…) Allora ci siamo chiesti chi erano in verità gli altri”
La libertà è costruire il proprio tempo, i propri spazi. La libertà è riuscire, è provarci un milione di volte.
Un milione di anni fa ho conosciuto Dario grazie a Libertà che in quella occasione diventava Freedom. Portavo a scuola la libertà da La libertà alla quale avevo partecipato come attore per lo spettacolo scritto da Filippo Arriva e diretto dal compianto Armando Pugliese. Quella esperienza non soltanto mi fece lavorare assieme a mio padre, mi portò anche una occasione di lavoro in qualità di drammaturgo per il saggio di fine anno del Liceo Galilei.
Ed oggi qui a liberare la mia natura seguendo questa canzone Era già tutto previsto. Ad abbracciarmi per abbracciare. La libertà del ripetere versi come si usa in teatro per cui un gruppo di attori sera per sera conduce il gioco serio con un pubblico invitandolo a crederci e a misurarsi con la propria libertà.
Ieri prima dello spettacolo mi sono regalato la libertà di non rispondere. E alla fine dello spettacolo di voltare le spalle e liberamente camminare verso casa. La libertà è una responsabilità che ci meritiamo anche se nessuno ci capisce. Siamo una serie di libertà.
Lasciar scorrere
Buon giorno. Stamattina finalmente scopro ciò che mi rallenta e mi crea a volte ansia. È l’incapacità di fare “il passo successivo”. Per paura di fallire o di ricevere una risposta che esce fuori dal mio disegno, rimango fermo. Questo può significare la capacità di lasciare scorrere, aspettare lo stesso quid che mi ha portato al primo slancio per farne un altro. Crea anche scarsa continuità e incertezza. Ci sto pregando su per capire meglio e se è il caso di invertire la tendenza. Nel frattempo sogni desideri sono in fila sopra un foglio di carta, compongono i miei tanti appunti. Prego nel continuo prendermi di cura di me, volermi bene per procedere bene.
Regia
Da piccolo mi capitava spesso di accompagnare mia nonna, la mia famiglia, a Teatro per vedere delle opere liriche. Non le seguivo molto, mi mettevo nella parte buia del palco e da solo o assieme ad alcuni miei cugini stavo lì in disparte ad annoiarmi. La scena era distante e soprattutto quel mix lirico tra musica e parlato mi era incomprensibile. Cmq il seme fu piantato.
Il teatro è una formula d’arte che è entrata prepotentemente nella mia vita grazie a mio padre fondatore del Teatro Club di Catania. Fin da ragazzo ne ho fatto un mestiere; non so bene se per emulazione o inconscia profonda passione, so che sono una persona attenta ad ogni forma di messa in scena. Questo atteggiamento di rispetto è il frutto dell’educazione che ho ricevuto. Tutto ciò che riguarda il teatro è stato ed è il mio mondo da sempre professionalmente da quasi 50 anni.
Fruitore o operatore sono due cose diverse che possono coincidere. Nel dettaglio fruitore e colui il quale fruisce, assiste al lavoro teatrale; operatore è chi elabora, costruisce, mette in scena l’arte teatrale. Le due parti sono concatenate perché un operatore è necessariamente impegnato a conoscere lo stato dell’arte quindi si nutre dell’aspetto sociale, di ogni evoluzione. Insomma un operatore che serve i propri piatti con cura va quasi ogni giorno al mercato o da chi produce la materia prima, va in giro nei teatri a vedere il lavoro di altri colleghi, lo stato dell’arte. Ieri con me c’era Tony, il mio aiuto regia. Abbiano seguito la prova di uno spettacolo per quasi 3 ore.
La rappresentazione è incorniciata in un momento storico. Lavorare in teatro vuole dire porgere lo sguardo alla società, al contemporaneo. Vuole dire affinare il gusto, il proprio gusto, metterlo a disposizione del lavoro che si produce. Nutrirsi del lavoro di altri vuole dire studiare, vuole dire farsi una propria idea, discernere tra ciò che ci piace e ciò che non ci piace. Vuole dire essere capaci, nel momento in cui si elabora una drammaturgia e si mette in scena uno spettacolo, di trovare perfetti spunti di coinvolgimento emotivo che permettano di fare scelte registiche tali che lo spettatore possa seguire con più facilità la rappresentazione di un racconto, esso sia realizzato in qualsiasi forma sul palcoscenico. In questo senso immagino un sano equilibrio tra logica (intesa come convenzione) e rappresentazione (intesa come personale stile di rappresentazione).
Unico obiettivo permettere al pubblico la migliore ricezione della storia e possibile immedesimazione di quello che accade sul palcoscenico.
Trovare le parole più giuste per quello che è il mio sentire è sempre un grande impegno. Capita spesso di essere frainteso perché adotto una scelta “la sintesi” che non tutti gradiscono. È così perché evito sempre la retorica, perché mi piace studiare e realizzare lo stupore, perché attraverso questo senso di meraviglia il pubblico trova la modalità di seguire meglio.
Il mezzo di dialogo tra la scena e il pubblico è molto spesso l’attore, può anche essere il vuoto come luogo di rappresentazione. L’attore attraverso la sua capacità di espressione porge la storia le battute, il canto, allo spettatore seduto in sala o in piedi che sosta o transita dal luogo di rappresentazione.
Mi impegno costantemente a trovare elementi “decisi” nel senso più chiari possibili affinché la rappresentazione sia contemporanea, ovvero coerente nell’approccio in funzione al tempo, nel tempo, che la si porge al pubblico.
Mi impegno a a far sì che l’opera contenga elementi visivi posturali, sonori, scenici tali da catturare nel miglior modo possibile l’attenzione del fruitore, lo spettatore.
Questo è un ragionamento sul quale continuerò a scrivere. Per adesso faccio colazione, scrivo da stamattina, dall’albeggiare, appena sveglio. Lo stimolo, come ho già anticipato, è arrivato dalla prova del primo atto del Don Giovanni di Mozart in scena dal 7 marzo al Teatro Massimo Bellini di Catania. La foto che segue è uno scatto realizzato ieri con il mio telefono.

Deserto

Siamo ciò che siamo, la vita è la nostra migliore amica. Usciamo dalla confusione dei giudizi e delle supposizioni nel bosco di specchi. Con una sensibilità bestiale, senza la capacità di essere appieno tormento, sfido il deserto. Ogni tentativo di provocarmi diventa miseria e disperazione di povertà intellettuale. Sono un facile bersaglio per le nullità, e il mondo animalesco, semmai, solo le freccette di carta. Una brutalità a cui assisto in silenzio come se non avessero altro da fare. A che sono servite le soddisfazioni e il piacere della messinscena, quella della prosa con le musiche belle, e dei “mi piace“. Sono servite ad essere qua, ad elaborare. Più forte è la cattiveria più senza scrupoli diventa l’orizzonte, è il gioco al rimbalzo. Più necessario è l’entusiasmo, più sento una contraerea contro pessimo stile e acidità, quella dei pappamolla. Forse è tutta una montatura della mia mente, la verità crudele da scansare. Rallento, accetto e scommetto sulla rivoluzione umana, sul progresso, sull’universo giudice e benefattore. Sono un drammaturgo, uno buono. La storia prima passa dalla mia pancia e dal contesto poi si proietta come un film. Il palcoscenico è la funzione delle infinite scoperte, la capacità di sintesi. Le salite sono la prova della misura della scrittura, e fonte di saggezza. La lettura di questo tempo trova il suo corso in queste parole manifeste e manifestanti combinazioni come sognare un pesce.
8 ½
Claudia: Della storia che mi hai raccontato non ho capito quasi niente. Ma scusa, un tipo così, come tu l’hai descritto, che non vuol bene a nessuno, non fa mica tanta pena sai? In fondo è colpa sua. Che cosa pretende dagli altri? Guido: Perché? credi che io non lo sappia? Come sei noiosina, anche tu. Claudia: Ah ma non ti si può dire proprio niente! Quanto sei buffo con quel cappellaccio truccato da vecchio! Io non capisco, incontra una ragazza che lo può far rinascere, che gli ridà vita e lui la rifiuta? Guido: Perché non ci crede più. Claudia: Perché non sa voler bene. Guido: Perché non è vero che una donna possa cambiare un uomo. Claudia: Perché non sa voler bene. Guido: E perché soprattutto non mi va di raccontare un’altra storia bugiarda. Claudia: Perché non sa voler bene.
Concretizzi il fatto che sei dentro ad una celebrazione, da sentimenti sconosciuti, appena arrivano queste battute che ti riportano a certe sequenze, viste e riviste, amate e riamate, in una offerta diversa.
Ieri sono stato al Piccolo Teatro della Città a Catania per assistere allo spettacolo 8 ½ Se questo è un sogno liberamente ispirato al capolavoro di Federico Fellini per la regia di Gisella Calì che ho conosciuto subito dopo lo spettacolo e con la quale mi sono congratulato per la vivacità della rappresentazione e per lo stile, molto inglese, di raccontare cantando.
Mi sono piaciuti gli stacchi della madre, la brava Barbara Gallo, le Folies Bergère di Carmela Buffa Galleo, le regole di Egle Doria, la grinta esplosiva di Laura Giordani, la composta leggerezza di Ornella Brunetto, la vivacità acuta di Laura Sfilio e i contrappunti eleganti di Cindy Cardillo, tutte a servizio dell’innamorato Emanuele Puglia.
Mi sono piaciuti i ritmi dello spettacolo. Mi è piaciuto lo sforzo e la grinta di tutta la compagnia, tecnici compresi, che ha confezionato uno spettacolo come se fosse il sentire di un quartiere, un piccolo paese, una comunità che necessita di esprimersi. Un gruppo di decisi volontari amanti di teatro si riunisce e con la sapiente guida di una di loro porta in scena una rappresentazione che non solo serve al pubblico, serve a tutti come esperimento e accrescimento di vita in omaggio all’estro di un visionario.
All’uscita ho abbracciato quelli che conosco, mi sono perso l’abbraccio con Ornella Brunetto.
Come si legge nel programma di sala questo spettacolo è una riflessione sulla vita e sull’arte, sulla relazione di coppia e le sue alterazioni, sulla ricerca del senso dell’esistenza e della verità, di “un centro di gravità permanente” in grado di mettere ordine. E se lo spettacolo chiudesse la sua passarella con la famosa canzone di Franco Battiato appena virgolettata? Avrebbe tolto la cornice del circo come si addice alla famosa festosità felliniana, e forse avrebbe punteggiato l’esperienza del gruppo in scena.
Brava Iole Patronaggio vocal coach e direttore di coro, a lei il merito dell’effetto musical. Il recitar cantando, mi dicono è la firma stilistica della regista Gisella Calì.
Questo spettacolo è prodotto da Associazione Città Teatro coordinata da Orazio Torrisi che ieri mi ha invitato a teatro. Questo spettacolo è un tassello della programmazione e posso immaginare i retroscena, le aspettative e lo sguardo sempre più in là di tutti.
In questo senso è perfetta la battuta riproposta da Emanuele Puglia (sarà in teatro il 29 e 30 marzo con Harem di Alberto Bassetti e la regia di Manuel Giliberti) che la porge alla platea senza le pause di Mastroianni, con il vissuto di un artista catanese caparbio e innamorato di ciò che fa. Mi sembra che queste parole producano una riflessione nella grande riflessione, una gigantesca pausa da incorniciare come all’interno dell’auto nel film. In questo caso segna una continua ripartenza: “Ma che cos’è questo lampo di felicità che mi fa tremare, mi ridà forza, vita? Vi domando scusa, dolcissime creature; non avevo capito, non sapevo. Com’è giusto accettarvi, amarci. E come è semplice! Luisa, mi sento come liberato: tutto mi sembra buono, tutto ha un senso, tutto è vero. Ah, come vorrei sapermi spiegare. Ma non so dire… Ecco, tutto ritorna come prima, tutto è di nuovo confuso. Ma questa confusione sono io, io come sono, non come vorrei essere adesso. E non mi fa più paura dire la verità, quello che non so, che cerco, che non ho ancora trovato. Solo così mi sento vivo, e posso guardare i tuoi occhi fedeli senza vergogna. È una festa la vita: viviamola insieme! Non so dirti altro, Luisa, né a te né agli altri: accettami così come sono, se puoi. È l’unico modo per tentare di trovarci.”
Andare a teatro come allenamento


Semplice

Immagino per un attimo, può diventare infinito, di scritturare Maria Callas per un mio spettacolo. Scritturarla per aver ascoltato un richiamo da esprimere. Cosa succede dopo? Per esperienza posso dire che è una condizione di equilibrio tra potenza e capacità, tra scelte e missione. Pochi giorni fa alla chiusa dello spettacolo L’ispettore generale visto al Teatro Stabile di Catania, la compagnia è scesa in sala a fare un giro tra le poltrone della platea a battere le mani a ritmo di musica come al circo. Questa scelta mi è piaciuta perché si sentiva, in ognuno del cast con più o meno sollecitudine, l’attore che si porgeva al suo pubblico dopo, durante e ancora a porgere il lavoro di attore. Porgersi come attore nel mestiere di attore è più difficile che fare l’attore. Ogni lavoro è una scelta. Laddove si comunica un lavoro in forma plateale è ancora più difficile. Ecco perché sto attento ad ogni scelta e poco importa se l’entourage che accompagna una persona, un attore o una attrice, sembra potente distraente, è la sostanza di quello che produce, che per me è fondamentale. In una continua progressione di scelte. Emulare è una cosa, clonare è un’altra cosa. Ieri ho scritto ad una attrice per un incontro, non mi ha risposto forse perché infagottata da elucubrazione che ci allontanano reciprocamente da piattaforme lavorative condivise. L’attore è il teatro, tutto il resto è uno strumento a supporto, anche la regia che pur apportando una direzione drammaturgica molto spesso importante è niente senza l’attore.
Stamattina se non avessi incontrato questa foto e avessi voluto esprimere il mio sentire nel tempo che occorre per farlo, non saresti qui a leggere.
Come ha iniziato Maria Callas? Ancora studentessa, Maria esordisce sul palco nel 1939, all’età di 16 anni, in una produzione scolastica di Cavalleria Rusticana mandando in visibilio il pubblico: per la sua brillante interpretazione nel ruolo di Santuzza viene premiata dal Conservatorio.
Come ha iniziato Eleonora Duse? Nel 1862, a soli 4 anni, interpretò la parte di Cosetta in una versione teatrale de I miserabili. Nel 1878 conquistò il ruolo di prima amorosa nella compagnia Ciotti-Belli Blanes, e appena ventenne fu a capo di una compagnia con Giacinta Pezzana.
Come ha iniziato Shirley MacLaine? Studia recitazione durante gli anni scolastici e dopo la laurea viene scritturata come sostituta di Carol Haney nel musical The Pajama Game a Broadway nel 1954. Dopo l’infortunio della protagonista, recita sul palco per diversi mesi tanto da attirare l’attenzione del produttore Hal B.
Come ha iniziato Paola Cortellesi? Comincia a studiare recitazione dopo il diploma al liceo scientifico, nella scuola Teatro Blu, diretta da Beatrice Bracco. Dopo qualche esperienza in radio con Enrico Vaime, sbarca in tv nella trasmissione Macao, condotta da Alba Parietti, dove interpreta il personaggio di un’argentina.
«Esiste qualcosa, in ciascuno di noi, che ci induce a essere in un certo modo, a fare certe scelte, a prendere certe vie – anche se talvolta simili passaggi possono sembrare casuali o irragionevoli?» (J. Hillman, Il codice dell’anima, Adelphi, 2008)
E l’intero testo di Hillman intende proprio convincere chi legge dell’importanza del daimon perché, forse, vivere ascoltandoci dal cuore è l’unico modo per sentire quel qualcosa che chiama come da un altrove. L’autore, infatti, sembra presentare esempi di daimon per, alla fin fine, esortare chi non ha decifrato il suo codice a credere che è possibile farlo. Ma questo presentare alla vista l’agire del daimon potrebbe non bastare se chi guarda non è pronto, in quel momento, a vedere. E si può benissimo rischiare di non esserlo mai se nella quotidianità non si ha abbastanza spazio e/o volontà per un dialogo interiore che è, nella pratica, una vera ricerca. Questo perché, come spiega lo stesso Hillman, il fato «richiede la responsabilità dell’analisi» (ivi, p. 245) nel senso che quello che ci capita nella vita esige la costante domanda e risposta di un nostro nutrito e meditato perché.
Ecco che, allora, la disponibilità alla tessitura di un significato per le particolarità e gli accadimenti che smuovono, nel bene o nel male, l’ordinarietà della nostra vita, rappresenta la via maestra per poter ascoltare l’eco che, mai stanco, insiste su un qualcosa in noi che sa riconoscerne il richiamo. Ed è proprio nel dare credito alla sensazione di questo invisibile che la nostra immagine, impressa in fondo all’anima, vorrà, forse un domani, risalire per poter essere vista perché, quel giorno, gli occhi della mente saranno pronti a vedere. E, probabilmente, come in uno specchio ondulato in mare aperto si vedrà che il codice dell’anima è la matrice che tiene viva l’anima stessa.
Buon giorno
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