Da piccolo mi capitava spesso di accompagnare mia nonna, la mia famiglia, a Teatro per vedere delle opere liriche. Non le seguivo molto, mi mettevo nella parte buia del palco e da solo o assieme ad alcuni miei cugini stavo lì in disparte ad annoiarmi. La scena era distante e soprattutto quel mix lirico tra musica e parlato mi era incomprensibile. Cmq il seme fu piantato.
Il teatro è una formula d’arte che è entrata prepotentemente nella mia vita grazie a mio padre fondatore del Teatro Club di Catania. Fin da ragazzo ne ho fatto un mestiere; non so bene se per emulazione o inconscia profonda passione, so che sono una persona attenta ad ogni forma di messa in scena. Questo atteggiamento di rispetto è il frutto dell’educazione che ho ricevuto. Tutto ciò che riguarda il teatro è stato ed è il mio mondo da sempre professionalmente da quasi 50 anni.
Fruitore o operatore sono due cose diverse che possono coincidere. Nel dettaglio fruitore e colui il quale fruisce, assiste al lavoro teatrale; operatore è chi elabora, costruisce, mette in scena l’arte teatrale. Le due parti sono concatenate perché un operatore è necessariamente impegnato a conoscere lo stato dell’arte quindi si nutre dell’aspetto sociale, di ogni evoluzione. Insomma un operatore che serve i propri piatti con cura va quasi ogni giorno al mercato o da chi produce la materia prima, va in giro nei teatri a vedere il lavoro di altri colleghi, lo stato dell’arte. Ieri con me c’era Tony, il mio aiuto regia. Abbiano seguito la prova di uno spettacolo per quasi 3 ore.
La rappresentazione è incorniciata in un momento storico. Lavorare in teatro vuole dire porgere lo sguardo alla società, al contemporaneo. Vuole dire affinare il gusto, il proprio gusto, metterlo a disposizione del lavoro che si produce. Nutrirsi del lavoro di altri vuole dire studiare, vuole dire farsi una propria idea, discernere tra ciò che ci piace e ciò che non ci piace. Vuole dire essere capaci, nel momento in cui si elabora una drammaturgia e si mette in scena uno spettacolo, di trovare perfetti spunti di coinvolgimento emotivo che permettano di fare scelte registiche tali che lo spettatore possa seguire con più facilità la rappresentazione di un racconto, esso sia realizzato in qualsiasi forma sul palcoscenico. In questo senso immagino un sano equilibrio tra logica (intesa come convenzione) e rappresentazione (intesa come personale stile di rappresentazione).
Unico obiettivo permettere al pubblico la migliore ricezione della storia e possibile immedesimazione di quello che accade sul palcoscenico.
Trovare le parole più giuste per quello che è il mio sentire è sempre un grande impegno. Capita spesso di essere frainteso perché adotto una scelta “la sintesi” che non tutti gradiscono. È così perché evito sempre la retorica, perché mi piace studiare e realizzare lo stupore, perché attraverso questo senso di meraviglia il pubblico trova la modalità di seguire meglio.
Il mezzo di dialogo tra la scena e il pubblico è molto spesso l’attore, può anche essere il vuoto come luogo di rappresentazione. L’attore attraverso la sua capacità di espressione porge la storia le battute, il canto, allo spettatore seduto in sala o in piedi che sosta o transita dal luogo di rappresentazione.
Mi impegno costantemente a trovare elementi “decisi” nel senso più chiari possibili affinché la rappresentazione sia contemporanea, ovvero coerente nell’approccio in funzione al tempo, nel tempo, che la si porge al pubblico.
Mi impegno a a far sì che l’opera contenga elementi visivi posturali, sonori, scenici tali da catturare nel miglior modo possibile l’attenzione del fruitore, lo spettatore.
Questo è un ragionamento sul quale continuerò a scrivere. Per adesso faccio colazione, scrivo da stamattina, dall’albeggiare, appena sveglio. Lo stimolo, come ho già anticipato, è arrivato dalla prova del primo atto del Don Giovanni di Mozart in scena dal 7 marzo al Teatro Massimo Bellini di Catania. La foto che segue è uno scatto realizzato ieri con il mio telefono.
