A Catania da qualche anno vado poco a teatro. Tutto è iniziato da Scenario Pubblico in occasione dello spettacolo Il Misantropo per la regia di Nicola Alberto Orofino. Era il 18 dicembre 2016 e avrei voluto uscire dalla sala dopo 10 minuti. Un pugno allo stomaco. Probabilmente per la mia ignoranza monumentale su Moliere o su tanto altro. Forse il momento, forse non so neanche io. Nella mia vita il teatro è pane quotidiano. Qualche tempo dopo da questa esperienza nasce il testo Semplice portato in scena 5 anni dopo.
Ieri sono tornato ad incontrare Moliere in questo caso Il Malato immaginario. Un cast di professionisti che stimo compresa la produzione.
Prima dello spettacolo sul telefonino ho copiato alcuni appunti, questi: a torto o a ragione parlo di teatro e le parole forse inciampano perché vorrei essere più esplicito e dire che le compagnie teatrali in questo momento sono come le pizzerie una ogni angolo, tutti pizzaioli. I fruitori non sono alla ricerca della pizza più buona sono alla ricerca di quello che circonda la pizza, poi se è buona o meno buona passa in secondo piano, compreso la sete durante la notte. Questo per me significa girare a vuoto e ci fa disabituate al gusto al valore della pizza.
Tutta questo prologo metafora perché vivo il disagio di non essere capito, di sembrare troppo estremista. Sto lavorando all’aggiornamento del copione L’altro ieri con una passione meticolosa e sono molto contento di riportarlo in scena per la terza volta in un nuovo allestimento.
Esco dalla sala dopo aver visto lo spettacolo al Teatro Brancati seduto al posto J9 anche se nel mio biglietto c’è scritto J10, accanto a Bruno Torrisi e a pochi metri da Anna Mazzeo che con tanto intuito e capacità sta collaborando al da fare per le date di gennaio 2025.
Con tutta questa tanta roba descrivo cosa mi sono portato dal grande lavoro fatto dal regista Salvo Picone quello senza Ficarra, e da Angelo Tosto (che conosco e stimo dai nostri esordi) e con (in o.a.) Filippo Brazzaventre, Daniele Bruno, Cosimo Coltraro, Giovanna Criscuolo, Luca Fiorino, Anita Indigeno, Emanuele Puglia, Lucia Portale, Giovanni Rizzuti.
Il pubblico soddisfatto sottolinea con applausi e risate molti momenti dello spettacolo. Scene spassose in cui ci sono pantomime esilaranti e poesie in musica con una retroproiezione tra Raymond Peynet e la sensibilità del regista. Solo poche volte mi sono distratto, ho seguito la storia e ho apprezzato l’esuberanza dei caratteristi.
Vorrei scrivere, ma non basta! Poi mi freno e penso come potrei descrivere il mio sentire volendo rispettare e salvaguardare il lavoro di tutti.
Posso dire che per me questo genere di teatro lo colloco o in una parrocchia dove i parrocchiani dopo una settimana di duro lavoro vanno a sgranchire la mente, trovare svago e piacevolezza in una storia dove giustizia e sentimenti trionfano e dove gli attori ti portano i dialoghi fino al tuo orecchio, oppure in un teatro trionfalistico estivo in cui un pubblico abbronzato o gli infradito si gode le vacanze.
Ma questo non basta a quello a cui ho assistito ieri. Non basta perchè lo spettacolo non prende una posizione. Sento l’aria di chi raggruppa il già raggruppato e gli da una forma senza stelle Michelin. E questo non è giusto secondo me se il garante della produttività è lo stato, la chioccia delle contribuzioni.
Aggiungo che tutti sono stati bravi, si sono impegnati, hanno guadagnato la loro paga. Avrei qualche appunto da dire per luci e scene, mi ritorna in mente quel “tanta roba”.
Comunque grazie perché è viaggiando che si conoscono il luoghi le persone e si cresce attribuendo alla curiosità il primo elemento dell’esperienza.
Ieri uscendo messaggi con Anna, mentre di fretta sono riuscito ad acchiappare il bus che mi ha portato a casa.
Anna stamattina mi consegna altri due elementi interessanti che sono abbiocco e pigrizia che condivido e poi mi gira la sua restituzione avendo letto in anteprima questo post: mi trovi perfettamente d’accordo, mi aspettavo che le risorse e l’opportunità di esibirsi al Brancati fossero sfruttate meglio. Salvo Ficarra solletica, ma non prende posizione, non stravolge e coinvolge. Non mi ha fatto ripercorrere sui passaggi e i messaggi… insomma opportunità sprecata per mettere in scena un lavoro dal contenuto poco incisivo
Il teatro vuole progresso, lo esige.