È tutto ciò che è l’adesso di te
È ciò che ho
È la sola possibilità
È ciò che mi deve bastare
È la visione della tua presenza
È il sapore di ciò che manca
È il nostro essere vicini e lontani
È la rivoluzione
È amore
la nostra missione è il teatro
È tutto ciò che è l’adesso di te
È ciò che ho
È la sola possibilità
È ciò che mi deve bastare
È la visione della tua presenza
È il sapore di ciò che manca
È il nostro essere vicini e lontani
È la rivoluzione
È amore
A chiare lettere. La spiegazione, o meglio, il senso dell’indisciplina parte da una storia antichissima. Una vocazione a cui aspirare nel conforme uso delle parole
Nel paese delle Destrezze, vicino al paese delle Similitudini, il Picchio Non so cosa fare si rivolge all’albero Non so cosa dire. “Buon giorno, mi racconti la storia dei virtuosismi?”; “forse è un po’ noiosa per chi non vuole ascoltare”; “ricordo che mi è piaciuta, ho voglia di riascoltarla”.
“Il Conte dei conti, un giorno davanti la finestra della sua casa maestra, sul tetto della collina, si allenava -Scrivere non è semplice, è un dono per noi prima di tutto, e poi per altri. È retorica solo se non libera spazio e non aggiunge colore. È un vanto ed un’avventura se ridistribuisce ogni cosa. Mette ordine ad ogni pensiero anche quando non immagini che ci sia- Poi il Conte si spostò davanti al camino acceso, continuò con i suoi pensieri -Tutto parte da una idea, minuscola e maiuscola, da un pretesto. La magia sta nel personalizzare le parole, intercambiare secondo la propria storia. La libertà è l’insalatiera della vastità, accoglie l’immaginario e lo rende infinito. Se ci lavori e lavori, il sogno manifesto ti sazia, come ballare, come fare ogni cosa. Come correre, viaggiare- Il Conte raccolse l’erba Inventiva, vivendo ciò che c’è, su una foglietta di appunti.”
L’albero Non so cosa dire in una pausa guardò gli occhi del Picchio “vuoi che continui? È solo l’introduzione. Dei virtuosismi si parla più avanti. Sei annoiato?”; “ti prego continua” rispose Non so cosa fare.
“Una storia dentro la storia”; mentre animali, persone, cose e perfino spostamenti d’aria si avvicinarono all’albero, attorno.
“Il Conte si spostò e andò al lago. Prese la sua barca, remò fino al centro e immaginò di essere fermo al semaforo, in una grande città. Le parole aspettano il verde”.
Tutti quelli vicino l’albero gridarono “oh” un oh, con l’accento esclamativo fortissimo, che si sentì fino a Stàltazia.
Lì vive la zia della cugina Vrinil. Disse “Senti che sta arrivando la storia? Che si sta costruendo?”; la nipote Motel rispose “è la fiaba, dei tempi, la stavamo aspettando. Ascoltiamoci”.
Non so cosa dire dopo un’altra breve pausa, riprese il suo racconto.
“Il campanaro Loretto suonava le campane in ordine e tutti erano abituati a ascoltarle ad orari precisi. Otto campane, ognuna con il suo spazio, ognuna con il suo tempo. La mattina suoni molto dolci in maggiore e la sera all’imbrunire un po’ aspri in minore. I componimenti erano facili da ricordare. Alba e tramonto. Arte dei suoni di circa 120″, ondi.
Loretto, fratello di Sorto, figlio di Agrippe e Matine, aveva ricevuto questo insegnamento dal signor Cioffrello il vecchio campanaro, quando il parroco della chiesa Arroccata era don Leonzio. Oggi il parroco è don Ugualdo e la chiesa è sempre Arroccata.
Non importa che tu conosca i toni o le note di una campana. Importa che tu sappia che un giorno Loretto volle costruire giri di parole con la voce delle 8 campane. Volle fare le giocolerie musicali per la dolce Virtuosa figlia del droghiere del paese, il signor Franoni, persona tanto per bene. Loretto non sapeva come fare a urlare tutto il suo amore. Usò il suo pensiero portatile. Mischiò i canti dell’alba e del tramonto, ciò che sapeva e aggiunse cose che inventava.
La gente del paese Cortile prima si stupì, poi, con un pizzico di attenzione, pose misura, si sintonizzò. In men che non si dica, gioì come fece Loretto al quale arrivò il sorriso di Virtuosa”
Anche nel lontano paese del Marinto conoscono questa storia.
Il fruttivendolo Gianto disse al pescivendolo Dreni mentre erano al mercato in un giorno di pieno sole “Che piacere unical è la vivacital delle cose nuove. L’autenticity che ognuno ha prima di sé stesso e poi del mondo”; e Dreni rispose “lo scatto ad esprimere in parole senza reticenze”
A Cvieni, paese vicino a Marinto, la sorella di Jely, Mestizia si stava lavando i capelli con il balcone aperto davanti lo specchio e pensò “questa è l’autorevolezza, la gemma dell’umorale dote dell’uomo.”
Al semaforo, al verde, le macchine ripartirono.
Dalla mutazione di ciò che è, ed è già altro, nuovo.
Il Conte dei conti raggiunse l’albero Non so cosa dire, lo abbracciò e richiamò tutti, tanti, che erano li attorno “mutiamo e mutiamoci oltre le cartoline, oltre immagini già vissute. Elaboriamo nuove elaborazioni con ogni incomprensibilità, come una lingua straniera”.
Non so cosa dire si scompigliò le fronde e aggiunse “cantiamo tutti una canzone”.
“Si cantiamo. Seguitemi” disse Mestizia che nel frattempo con i capelli puliti e asciutti era arrivata in mezzo a questa festa.
Tutti cantarono. “Alleniamo il sentire per cogliere nuovi scenari, la speranza e la diversità dell’adesso. Alleniamoci a consumare la retorica. Solo amore.” Lo ripeterono due volte, necessitante chiarezza, in coro
Nonno Abcdef concluse con la sua morale “a voi e per voi, per noi, loro, tutti” senza nessun amen (forse ci avevi pensato). Parole.
Nessuna scoperta, nessuna provocazione. È l’agire della sperimentazione, il divenire piacere di nuove scoperte con quel pizzico o grande voglia di rivoluzione”. Trovare il tesoro, gli obbiettivi posti.
Bozza di soliloquio, terza , La retorica dell’avanguardia…
La necessità di creare arte teatrale che oltre ad appartenerci, è al pubblico, godimento, nutrimento, appagamento.
Questo è il punto di partenza di questo doveroso leggero e autoriale. Punto di domanda e coach espressivo.
Che cosa sia il pubblico e che cosa è rimasto del pubblico. Oggetto dell’equazione, il teatro è il dominio di due fattori, la scena e colui che la guarda. Senza uno di essi non esiste la rappresentazione. Meno male che voglia fare la sua parte. La penna sul foglio è il movimento liberatorio ancor prima del primo giorno di prove. Autobiografico. Il senso al personale manifesto. Mamma mia. Incoraggiante dalla finestra della pazienza.
Vedo la mia scrittura della voce, i tratti del progetto di armonizzazione espressiva, farsi spazio. Li vedo compiere una rivoluzione puntando il dito alla sfiducia. Ribalta l’approssimazione. Mi sento emarginato dall’emarginazione, io. Ho attraversato tempi melodrammatici, li ho con me. Valigie belle e brutte. Ho applaudito un esercito di apparenze, lirico in quanto magistrale.
Suggestioni maestre, magnifiche “esperienza” al plurale, sorprese.
Alternanza scuola lavoro con una palla di un laboratorio in agire, ho. Adesso. Sto. Recito. Mi muovo dopo aver parlato con la luna, con la raffigurazione della mia spiritualità. Con ogni micro macro essenza di un voto, neanche fatto da me. Il voto del magnifico eloquente drammaturgico. Insito.
Insisto, so perché. Cause, Giove. Con questa propensione ho percepito, quel tempo, il mio disgusto. Da qui tutto accade, lo scrivo, due punti. Quattro anni fa circa. Teatro. Quella volta incuriosito oltre modo perché l’opera è rappresentata in uno spazio dedicato alla danza di Amici gestori. Luogo di movimenti, piccolo spazio di usuale dimenamento di corpi. Centro di produzione. Avevo visto, in diversi luoghi, l’attore protagonista e una volta il regista in locandina.
Quanto vi sono grato oggi maschere disumane, approfittatori di diseguaglianze, del bene placido del sonno dell’ignoranza e delle cattive compagnie. Avevo creduto alla sua, tua, ricerca. Dopo quella esperienza e dopo alcune altre, ho iniziato ad odiarti compassionevolmente come un fratello che sprona il livello di imbecillità a rientrare dal fuori misura in colui che ama.
Smetto di ascoltare i fuori posto. Pausa. Mi interrogo. Torno ad allora. Alla vocazione. Dopo appena 20’ avrei voluto bloccare la porcheria dilagante, il frastuono di voci. Volevo chiedere a gran voce di smettere di tradire insanamente e collegialmente i principi base del buon gusto. Stavo male, e ho continuato a soffrire fino alla fine dello spettacolo, atroce. Si può parlare di vuoto, inutilità, cialtronerie, assenza di mestiere, assenza di amore, assenza di vocazione. Sembra facile lamentarsi, non lo è.
Di cosa ti spacci? Dico a me. Dentro c’è una responsabilità grande. In essa c’è lo spauracchio del giudizio e del gioco degli specchi. Mi sto giudicando? Mi lamento, fuggo? Cosa sta accadendo? Mi sono vomitato addosso ciò a cui ho assistito. È roba mia?
Il mio anagrafico in fatto di fruizione e partecipazione ad ogni sorta di arte mi ha appena messo una mano sulla spalla in segno di ascolto e approvazione. Il palcoscenico ha spalancato le sue braccia perché ha sentito manifesta la mancanza di dignità. Sa di successi e insuccessi.
Conosco il senso da borghese maratoneta su ogni cosa che si muove con il senso dell’agire, il camaleontico del costume di scena. I sapori autentici, quelli maiuscoli anche quando sono minuscoli. La luce non soltanto fonte, soprattutto riflesso, armonia.
Il like odierno è vuoto colorato. Lo scarabocchio confuso. Alimento colloqui con la mia anima imbarbarita.
Eccole le anime gemelle. Le relazioni rimodulanti. Ho. Qua.
Decidere ed essere accolto dalla vita, la mia, nel voler mettere in scena il teatro al pubblico. Paroloni. Verità
La grande sfida della rappresentazione.
Quando senti una tale indignazione, parti dal me stesso.
Quando senti che la tua vocazione è stata offesa, ascolti il silenzio acido del sudore. La poesia non basta, l’unica cosa agire nel reagire.
Nuova esperienza. Assieme di stimoli configurati contemporanei. Aree di pensieri per altri pensieri. Suggestioni da suggestioni per suggestionare. Suggestioni, suggerite dal suggeritore quando non ce bisogno perché la tua parte la conosci bene, più che bene.
Voce guida ”la stabilità mi spaventa. È un problema mio” La sincerità è impagabile.
Come “l’impossibilità di conciliare l’amore con il nostro lavoro.”
Certi impulsi rimangono in una loro amorevole confusione, incoraggi amore.
Vedo trasformata la tempesta in luci dette. Fruizione di sconosciuti. La loro spesa per casa è mia responsabilità.
Didascalia foto da FB: Federica Rosellini, nella solitudine dei campi di cotone, ph_Salvatore Pastore
Lei Maestro non c’è più in questa terra, il mondo ha perso uno dei suoi più grandi benefattori, un grande poeta, un grande uomo, un genio della composizione musicale. Mi dispiace infinitamente che non sono riuscito ad incontrarla di persona o assistere ad un suo concerto. In compenso ho gran parte della sua discografia. Il suo contributo all’umanità è stato iscritto nella storia ad ogni grande o minuscolo passo della sua carriera. Abbiamo ereditato la sua missione. Questo è magnifico. Il suo lavoro, la sua creatività sono state fondamentali per il nutrimento artistico di generazioni e lo sono e lo saranno come contributo al mondo della comunicazione, perché la musica, specialmente la sua, sostiene e amplifica qualsiasi emozione. Lei è il Maestro contemporaneo dei maestri. I suoi capolavori sono la sua anima che è presente ad ogni ascolto ed esisterà in eterno
Mattina presto, qualche anno fa. Le 8.30 circa, sono a Roma, appena entrato ad Anagnina, stazione della metropolitana linea A. Scendo le scale verso il treno, mi accorgo subito di un paio di scarpe sportive color oro, poi di tutto il resto. Mi avvicino con garbo alla donna che le indossa. È un po’ più giovane di me. Dopo qualche gradino, le dico d’istinto, “belle scarpe”, niente di più. Si gira, mi guarda, senza dire una parola. I suoi occhi mi chiedono “come, scusi?”. Rispondo “mi piace il colore oro”. Sorride. Ci avviamo al treno. Lei entra da una porta, io dall’altra. Dopo tre fermate scende appoggiando la mano destra sulla porta ancora aperta. Mi arriva adesso, a ripensarci, quel gesto. Va verso destra, per uscire, rallenta, si ferma in mezzo alla banchina. Mi guarda. La guardo. Il treno riparte.
I nostri sentire sono rimasti lì, fermi oltre un paio di scarpe, color oro. Scelte. Cosa volessi dirmi è solo fantasia. Può sembrare esperienza. Oggi è solo una bella foto!
Silenzio, ti prego mi si stanno accavallando i pensieri. Voglio un po’ di concentrazione. Ti prego, questa è l’attenzione che desidero da te. Lo disse Rosetta a Leonardo, in un momento. Nell’altro ci ripensò, Leonardo era già in silenzio. Sono due giorni che litigano su come sbucciare le patate. Leonardo lo considera un rito, un’evocazione, Rosetta non percepisce la stessa cosa, gli sembra una esagerazione. Oggi c’è in programma il purè. Potrebbe essere una bella idea, ma loro litigano, e litigano che a vederli dall’esterno non sembrerebbe per le patate. Cala il silenzio come un gioco di luci in cui gli attori recitano al buio, si sente l’intensità della scena. Un filtro di luce ci deve essere perché il buio si fa con la luce.
Per capire questa storia occorre andare a due anni prima quanto Rosetta incontra Leonardo. Un tempo in cui per Rosetta le patate erano all’ordine del giorno mentre a casa sua con i pensieri suoi Leonardo preferiva cicoria e spinaci. In uno squarcio di tempo simbolico come nell’enciclopedia universale Zanichelli, quella illustrata, si legge che le differenze sono una prerogativa importante per andare di comune accordo, perché se è vero che ci può essere contesa è anche vero che ci può essere sollecitazione istruttiva, nota come esplorazione educativa tra oriente e occidente in un paradosso cognitivo che ti si scatena mentre bevi un aperitivo.
Nel momento in cui snoccioli l’oliva in bocca, mentre gusti il suo sapore, un silenzio di goduria ti porta un’attenzione all’esterno che ti viene voglia di prenderne una altra, oliva. Ecco su queste basi filantropiche da silenzio, fermo immagine, attenzione ad ogni particolare, subentra il loro sguardo e gli Dei felici urlano la loro gioia e il portiere dell’anima scatta di meravigliosa meraviglia.
Che silenzio! Può voler dire felicità.
Mi sono incaponito di te, che ci posso fare, è così. Ho spalancato la finestra ad una esistente esistenza per ciò che un poeta definisce ispirazione, necessitazione. È impossibile pensare il contrario.
Sei una potente attrazione di seduzione di eleganza in tutto ciò che agisci, sei meraviglia anche solo in semplici movimenti anche solo-solo a sentirci. Possiamo amarci talmente tanto da amare noi talmente tanto.
Possiamo migliorarci perché il nostro amore ci migliora. Posso inviarti a cena ovunque un tuo sguardo si poggia sul mio. Possiamo prenderci per mano e rivoluzionare il continente con il nostro sentimento sconfinato.
Possiamo dipingere la Tour Eiffel con i nostri sogni. L’Etna di colori sfavillanti. La Porta di Brandeburgo di luci. Possiamo nuotare in un mare cristallino e giocare e ridere illuminati dal sole, o anche con la luna correre in spiaggia.
Possiamo ballare, abbracciarci e baciarci senza determinare un tempo, è il nostro tempo. Possiamo usare la nostra passione all’infinito, fin quando siamo essere su questa terra. Possiamo coniugare il verbo del desiderio in tutte le coniugazioni.
Possiamo vivere la nostra casa per come vogliamo in ogni particolare, i nostri spazi, le indipendenze. Possiamo gustare con le nostre famiglie, che diventano la nostra, ogni cosa, anche un Amarone del 2012 di Villa Arvedi. Possiamo della nostra felicità fare felicità condivisa con chi è più vicino.
Possiamo fare dell’amore uno strumento di pace. Possiamo viaggiare e viaggiare e viaggiare senza litigare, solo tutt’altro, essendo appagati all’unisono da ogni scoperta, esplorazione.
Possiamo vivere di vita e amore, soddisfazioni, ispirazioni. Realtà.
Possiamo creare un album di cartoline per l’eternità. Possiamo dichiarare amore alla nostra energia affinché alimenti di forza e coraggio ogni cosa che facciamo e soprattutto tutto i nostri lavori dal più piccolo al più fantasmagorico. Guadagni guadagnati.
Possiamo essere complici perché gustiamo ogni cosa da amanti. Possiamo trovare nell’arte, nella letteratura, nella musica, nel cinema e teatro il nostro nutrimento, in una modalità in cui ogni ascolto diventa uno scambio di emozione, gioia, sazietà. Si metta al bando ogni retorica e ogni esitazione.
Possiamo essere sinceri perché è solo così che si cresce. Possiamo superare ogni ostacolo perché ogni ostacolo è una opportunità anche se più difficile di un precedente. So che possiamo, lo so!
Se sono talmente scemo da farne un’illusione ne scriverò una canzone e la canterò fino a non stancarmi. Ecco perché desidero e immagino in ogni istante questa armonia, noi, oltre ogni limite. L’amore non si può spiegare, è la cosa più semplice e generosa che io conosca perché pur non avendo una ragione fa della tua vita una ragione.
Uno dei film tra quelli che si sono imposti alla mia attenzione è Prova d’Orchestra di Federico Fellini, un film esaltante. Cosa contraria Il Concerto, un film di Radu Mihăileanu. Il primo del 1978 e il secondo del 2010. Due ancoraggi diversi, due pensieri, sensazioni e retro pensieri diversi. Non so se dipenda dal momento, dal cast, dal mio essere in due momenti differenti, dalla regia, so che per me queste due racconti di orchestrali sviluppati in linguaggio cinematografico mi portano umori diversi tra gioia, ansia, felicità e vuoto, arte e ripetizione, l’oltre e la sofisticazione.
Premessa last minute che rappresenta il mio gusto, il mio modo di pensare, ti faccio entrare nel contesto, nel personaggio? Boh! Ho solo pensato di aggiungere questo commento.
Ribellamente si prova, gustando l’insalata, manca l’avogado. Mentre vado a comprarlo scrivo un pezzo.
E tu ci credi?
Realizzo un puzzle da solo perché è l’unico modo adesso per andare avanti. Non mi chiedete una storia figurata, roccocò, non ho voglia di scrivere storie. Forse in coda ci provo, per adesso mi fermo alle deduzioni, complico le cose è la mia modalità per renderle facili ed affascinanti.
Il racconto che mi farebbe vincere la noia di scrivere è la bella esperienza del concerto degli One Direction a Torino nel 2014 con i miei figli più piccoli Ferdinando e Gaia. Non era una prova, l’esibizione c’è stata, e anche molto cool.
Il titolo oggi potrebbe essere, il riluttante e le occasioni perdute, oppure le urla e le imprecazioni inutili. Che cosa meravigliosa sono i desideri, un assieme di infinite possibilità. Dopo forbite info, continuo a concentrarmi su cosa scrivere.
Nel film Shine il concerto di David che chiude il film è un perfetto esempio. Quello che sto realizzando è un concerto di parole per tastiera schermo e voce. La mia scrittura è più documentaristica che novellistica, è una mia specifica modalità in quanto a me piace imbastire una storia sia con il vero che l’immaginario, trovare appigli come per la modalità candele se vuoi le spargi per casa e li appoggi in posti più disparati, solo così crei l’effetto. Mi piace dare colore e forza ad ogni particolare. Ci vuole tempo, e non è detto che acchiappo il mio lettore. È un concerto di una serie di momenti, un continuo zapping. Punto a quelle espressioni di stupore anche casalingo, con quei oh! sinceri. Rifuggo per snoberia dalle cose interessanti, se lo sono prendo appunti e poi le vado a cercare. Mi piace creare momenti piacevoli in maniera fantastica, c’è bisogno di un grande lavoro. Un concerto di parole diventa intramontabile quando ogni volta che lo senti, lo suoni, lo ascolti le sensazioni si rafforzano, ti danno la spinta a ritornarci. Come nell’amore, quando il sentimento è intenso, oso dire necessario, ti spinge a crescere il nuovo del nuovo insieme all’amore.
Adesso sono reduce da un ottovolante, impaurito. Domenica mattina avrei voluto abbandonare due gruppi di lavoro perché mi sono trovato stretto ad un malessere che conosco bene. Sto concertando una pausa di riflessione con me medesimo. La musica è il mio grande coach, la vera natura, la mia grande forza. Ecco Bravo! Forse è un gioco di forza, almeno così la prova sembra significare.
Un giorno scoprirò a cosa stavi pensando o guardando o provando o scappando adesso.
Penso all’ancoraggio che ha definito una traiettoria, un tema, come questo. Il concerto come forma di esecuzione, la prova come elemento di definizione. Esecuzione definizione allentamento di tensione per una realizzazione.
Un concerto di idee decise di scalare una montagna perché solo dalla cima avrebbe potuto ammirare il panorama e prendersi una bella soddisfazione, poter dire di aver realizzato un’altra esperienza per il solo essere esplorazione di esploratori alla ricerca di significati? Lo potevi dire di poter fare una prova con un campione di prove. Il campione di prove è colui che sperimenta, sempre e comunque. Questa gita diventa un pic-nic, una festa dove ognuno porta qualcosa come solo ognuno riesce a fare. Una lezione all’università di vita e di passione come tra compagni delle elementari, semplicemente semplice. C’è chi vuole imporre una conduzione, c’è chi offre tipi di incoraggiamento, c’è chi immagina di fare ascoltare Tintarella di luna eseguita da Mina all’antrasatta.
La conoscenza produce volumi, riempie librerie, porta avidità o conferme o tutte e due. La sfida è il miglioramento di sé, l’altro è nient’altro
Quando inizio a elaborare un guizzo della mia immaginazione, della mia ignoranza, prima ancora c’è la visione, quell’insieme di pensieri che si compongono e costruiscono una cartolina dei sogni, ovvero una composizione di codici personali che ha voglia di essere rappresentata.
Chiamiamola come si vuole, può essere verità, la schietta parola della mente o del cuore? Ci sono momenti standard, ci sono quelli senza canoni o istruzioni per l’uso, quelli senza retorica sono spesso fiumi in piena. Da quella minuscola e infinita sensazione nasce ogni cosa, l’essere umano produce novità.
Chiamala come vuoi è vita di artista con un senso o senza senso, giudicata o allontanata per paura, il bello sta in questa continua esplorazione. Da solo o in compagnia. Le idee sono la voce della vita, dell’adesso. Le idee sono fresche, di giornata, le altre le trovi nel cassetto a maturare. Di quante idee sei composto, quante idee ti trovi, che idea ti sei fatto. L’idea è un’altra visione nella realtà che diventa una possibile azione come tante da vedere, abitudini e stili. Vissuti. Tanti stimoli di vita che ci aiutano a scrivere ognuno la nostra esperienza. Non esistono prove solo costruzioni, le prove che cosa sono?
Verifiche, esami, tentativi. lo dico e scrivo nell’accezione da contestatore, da Salvatore, da paladino dell’arte quella sviscerata. Sembra che sia scontato, forse il prezzo è un affare in questo momento. Immagino quanto ogni valutazione sarà a livelli sorprendenti. Ogni istante abbiamo, se vogliamo, tutti gli strumenti di elaborazione possibile, possiamo immaginare e produrre tutti gli arrangiamenti alla nostra composizione farla essere un concerto in ogni dove.
Ecco un racconto.
Giorni che ci lavoro. Oggi è lunedì. Di pomeriggio prove in teatro. C’è un sole pazzesco mi sono appena fatto una corsa in spiaggia a cercare un tizio. Ho sentito Lora per le registrazioni, mi sembrano buone, c’è da sistemare qualche piccolo particolare. Giovedì sera si debutta. Uno spettacolo di musiche, interpretato da sconosciuti, un attimo prima, un attimo dopo star. Mi sembra al momento una grande incognita. C’è in campo una leggera incoscienza come brezza mattutina, non c’è bisogno di una felpa è solo frizzante. Gabriele ha quasi ultimato le scene. Per questa occasione montiamo un nuovo sipario. Tutto rosso con al centro la scritta “se l’acqua è poca la papera non galleggia” una sfida al direttore e i suoi continui ostacoli. Chicco nel frattempo è per i fatti suoi, gli aiuti in campo su cui contare ci sono e sono Camillo, Valeria e Massimo oltre a Lora e Simone. Oggi è martedì, abbiamo deciso di fare una riunione a pranzo per organizzare la prova generale di domani. Abbiamo convocato tutti. Ci troviamo stasera in teatro a mezzanotte per fare le luci. È un anfiteatro da 800 posti un palco abbastanza grande e un boccascena infinito. La dotazione luci è scarsa. Solo circa 12 corpi illuminanti vecchia matrice tra esterno e prima americana. E solo 8 proiettori per tagli e controluce. Dobbiamo trovate tutte le soluzioni possibili per illuminare bene ogni scena, l’angolazione è importante. Sera. La discoteca è molto vicina al teatro. Arrivo da lì, ho preso un paio di birre. Tra una cosa e l’altra è già l’una. Iniziamo a lavorare. La serata è piacevole, si sta benissimo. Ci sono alcune persone che stanno aspettando noi, vogliono vederci lavorare. Gente simpatica. Fa piacere organizzare, costruire movimenti, fare un qualcosa di preludio allo spettacolare quando c’è già un pubblico. Mi da una forza incredibile, sento quel calore umano che è già spettacolo in quanto frutto di una seduzione della cultura manifesta. Secondo me dovrebbe essere sempre così. Alle 2:30 arriva a sorpresa un gruppo di ragazzi belli e allegri, aggiungo generosi, che ci porta un po’ di cose buone. Un vassoio con cornetti, bombe alla crema, graffe. Sono quei momenti dove un bomba ti sembra un confetto, la mangi in 5 secondi. Alle 3 finalmente si fa vivo Chicco. Ci dice che ha avuto bisogno di scappare un giorno e per farsi consolare ha un bottiglia di Jagermeister ghiacciata, con bicchierini, goduria, ne bevo tre. Grazie. Alle 3.40 quasi 4 l’anfiteatro inizia a svuotarsi. Piano piano la gente va a dormire. Sono le 5:30 dobbiamo smettere sta albeggiando. Pausa caffè, ci vediamo alle 9.30 in direzione. Buon giorno
Sto facendo fatica a unire, assemblare pensieri per l’argomento della settimana. Il mio approccio alla realtà finzione è la mia scelta di vita da bimbo a professionale da quasi 50 anni. Per me non esiste migliore combinazione. Tra un naso e un orecchio. Entrambi ascoltano, entrambi con la loro realtà ed entrambi fingono su ciò che sono e che sanno. Altre volte prima di scrivere ho realizzato un audio che ho poi tradotto in scrittura.
Stavolta no, solo parole scritte. Oggi si discute, si mettono idee in campo su qualcosa che secondo me è monumentale. È l’albero che ho dentro, che abbiamo tutti dentro, l’albero del gusto, che cresce con i suoi ritmi naturali e merita un flusso continuo di concretizzazioni senza dubbi, senza ripensamenti.
Action e ancora action anche con ogni tipo di astinenza amica di pazienza.
Pausa. Sopportazione. Coraggio. Fede.
Ieri ho ricevuto un complimento mentre parlavo con una giovane psicologa alla quale ho chiesto la partecipazione ad un mio documentario dedicato alle donne. Lei dopo un mio vorace esplicativo, come di solito mi accade, come di solito faccio, mi ha detto che per capire me, il mio interlocutore, deve allentare piuttosto che creare ostacoli, solo così entrambi ci portiamo a casa un vissuto traducibile.
A questo punto, prima di sbizzarrirmi in una storia, cerco il quid, il titolo, non so ancora quale, in questo caso, mi piacerebbe fare una panoramica su questa coppia di belle figurine, finzione e realtà, su questa opportunità.
È come vedersi allo specchio in pubblico, è come una platea intera, composta in gran parte da gente che non si conosce, che vede solo una tua immagine, non sa come sei nudo, come sei appena sveglio, non sa quanta puzza fai in bagno, come sei sotto la doccia, non come ti lavi i denti e quando, o come e quando rifai il letto, se russi o meno, se canti non soltanto sotto la doccia. Una platea che non sa se sei innamorato o meno, non sa chi ti piace e chi ti fa meno piace, non sa come mangi e cosa offri, non sa se cucini bene o ti astieni, non sa se fumi o se sei savio, non sa se sei roccia o rocciatore, non sa o se sa poco piuttosto immagina. Questo è il senso, realtà finzione.
Che meraviglia l’IMMAGINAZIONE.
Questo è il frutto. Il concettuale. Insomma questa gente con conoscenza approssimata ti accompagna dal barbiere o a comprare un abito, o un paio di mutande … come se fossi ancora in scena. Riesci a immaginare? È più che un reality.
Mettiti anche tu in mezzo a questa folla, follemente. Ognuno di loro, voi, avete voglia di dire, di parlare, vedere come vede l’attore, cosa sente, come si muove oltre la scena, la definizione di un personaggio. Ognuno, apostrofa con la sua realtà o la sua finzione. Siamo più finti che reali, quelli senza una verità, senza una fede. È solo una grande allucinazione, è roba da film, da racconto fantastico, nessuno può sapere realmente cosa pensa una persona, lo può solo immaginare e neanche può capire cosa vuole fare e dove va, il senso delle sue azioni, è forse solo un caos. C’è o non c’è il punto interrogativo o è una affermazione, c’è che se c’è una può essere l’altra, allo stesso tempo. Il falso vero o se ti piace il vero falso…
Che la realtà è femmina e la finzione è maschio è un gioco infantile. Entrambi come il nome Andrea contengono il femminino e il mascolino. Quanto complico le cose?! Io ci sguazzo tra realtà e finzione! Ok, che cavolo scrivo?
La realtà quando è stata realtà, diventa passato, consumato, è una realtà dell’appena adesso. Quando è stata l’ultima realtà, l’ultima goduria, fermiamoci a pensare, assieme. Cosa è veramente la realtà.
Vorrei tanto scrivere una storia su questo tema, so che nel momento che scrivo sono già in tema perché combino le due cose, scrivo una realtà che non è già più realtà e quindi nel frattempo fingo una realtà. Io voglio e posso godere la realtà così com’è come la costruisco.
Vedo questa foto. Due gambe da donna, una gonna di tulle nera che ruota come un hula hoop, non si vede, si immagina chi ci sia dalla vita in su. Si vede l’ombra. Dalla luce penso che è un esterno giorno, in area condominiale o piazza vicino ad abitazioni o negozi. Le scarpe sono con il tacco. Le gambe sono belle, la donna in questione è di taglia media. E se non fosse una donna, se fosse un uomo travestito. In questo caso mi sembra difficile, ma mai dire mai. Il ribaltamento del pensiero. Chi si incuriosisce? Tu? Io? Tutti quanti?
Quando si ribalta un pensiero e si pensa fuori copione si improvvisa. Dipende da mille cose, o da una sola, io credo che dipenda dallo stato vitale, dall’emerso e dal rimosso. Dipende da che cosa si scappa, da cosa veramente vuoi, cosa non si capisce. Da quanto vuoi scommettere su un tuo immaginare. Sul nuovo. L’ambiguità è la più grande condizione di realtà e finzione che io conosca ed è la più brutta perché oltre a essere fuorviata dalla tua/sua stessa immagine, è una fuorviante essenza del presente per sé e per chi la vive.
Ho visto in questi giorni la serie Wanderlust che è una parola inglese che definisce uno stato d’animo, intraducibile in italiano, per cui chi ne è afflitto è spinto da un desiderio irrefrenabile di viaggiare ed esplorare il mondo. È proprio la wanderlust a spingere Joy e Alan ad andare alla ricerca di altre esperienze, spingendosi, appunto, fino ad avere relazioni extraconiugali alla luce del sole. Il tutto è arricchito da una bella colonna sonora, tratto distintivo della serie: ogni episodio annovera canzoni di qualità che amplificano, il mio piacere, la mia nutrizione e sottolineano le emozioni mostrate sullo schermo.
Fin da piccolo ho allargato i confini di ciò che rappresentavo con chi mi porgevo. Raccontavo storie, storie, storie, storie e altre storie… le facevo passare per vere. È stato un grande allenamento.
Adesso cerco ogni volta un grande qualcosa, qualcosa che mi stimoli a fare abbracciare queste entità, la logica della realtà e l’illogica della finzione, come anche l’illogica della realtà attraverso un altro punto di vista e la logica della finzione attraverso un altro punto di vista. Surreale. Sciamanico. Per capirmi bisogna allentare. Forse anche amarmi, questa condizione è più bella, più felice.
Scrive Franco Fortini. “Scrivere è necessario anche se apparentemente sembra inutile: il dibattito nella comunità è ormai sopito; oppressore e oppresso vivono l’uno accanto all’altro; “l’odio è cortese” e non si sa più di chi sia la colpa” (…) “La poesia non muta nulla. Nulla è sicuro, ma scrivi.”
La vera trasformazione che compie la creazione, l’immaginazione, è l’arte, la creatività, la curiosità sono dentro di noi, non fuori di noi.
Voglio ciò che voglio. Per volerlo lo voglio. L’autentico è il finto.
Il lupo e la lupa decidono di usare parole che contengono solo le lettere e la composizione dei loro nomi.
Lupa. Lu?
Lupo. La!
Lupa. Lalallà?
Lupo. Popò
E vissero felici e contenti
Scrive James Hillman nel suo libro Codice dell’anima “La vocazione accompagna la vita e la guida in maniera impercettibile e in forme meno vistose di quelle a cui si assiste nelle figure esemplari (…) la storiografia più recente analizza con attenzione le vite della gente qualunque, più che dei protagonisti della politica o dell’arte (…) il carattere conforma la vita (…) potrai anche risultare mediocre in tutte le categorie sociologiche, perfino nelle tue aspirazioni e realizzazioni personali, ma la maniera in cui si manifesta la tua mediocrità sociologica creerà un picco unico e irripetibile in qualsivoglia curva a campana”
Scrive Rupert Spira nel suo libro La presenza consapevole “Quando guardiamo il mondo, la natura, ci sembra di vedere qualcosa di reale, di dotato di sostanza. Invece, il mondo è un insieme di percezioni intermittenti che nascono e muoiono attimo per attimo. Ma allora quale è la realtà di ciò che vediamo? Che cosa mette sulla nostra esperienza il suo negabile sigillo di realtà? Quale è la realtà della nostra esperienza”
Oggi parliamo di porte, questa scena da film di Gabriele Muccino “La ricerca della felicità” mi da un forte stimolo a rappresentare questo tema, mi mette in sintonia con il mio talento, la porta della mia felicità
È successo qualche giorno fa. Ho appena guardato un video, il secondo di oggi. Stesso autore, stessa energia, stessa bellezza, stessa poesia, stessi particolari infiniti, stesse suggestioni.
Quanto è grande l’universo e quanto sono grandi i nostri sogni, senza un limite, senza un fine, senza barriere, senza macchinazioni, solo emozioni. Senza inutili costruzioni, la bellezza sta nel sole che ogni giorno sorge e ci illumina.
Dedichiamoci a noi, questo è importante, nel gesto di essere mondo. Siamo arte per offrire arte, siamo arte per un’arte che ci appartiene. Senza cogliere gli istanti non ci sono istanti. Ogni inquadratura che porto a casa è un elemento utile ad una storia, un elemento di un puzzle, di ciò che ci piace, di ciò che fa una grande immagine, di una piccola o grande storia.
Un’intervista a Chris Gardner la persona sulla quale si basa la storia vera del film con Will Smith che ho appena menzionato. Non capisco molto bene l’inglese, quanto basta per capire che anche per lui la scena del bagno è importante, è importante quella porta.
Oggi svolgo questo tema. Diamo spazio e forza alle nostre passioni, perché diventino energia condivisa. Ogni inquadratura di altri è il nostro specchio.
Le nostre intuizioni sono lo spettacolo delle nostre preghiere, sono similitudini da irreali a reali, sono i nostri pensieri già consumati in un’azione, in un effetto che si manifesta e si apre al nostro presente.
La magia vive nell’adesso, la accogliamo come è bello che sia. La magia quando arriva apre nuovi saperi, apre e ci conduce al dialogo con la nostra anima, quella stessa anima che vediamo, in ogni cosa che ci rappresenta, è, la nostra perfetta identità, il nostro essere, ciò che chiamiamo sé.
Una delle musiche che ho ascoltato, in quei video di quell’oggi è questa
La verità è che quando si apre una porta, si chiudono tutte le altre, anche se rimangono aperte, perché la direzione è cambiata, c’è una direzione. Abbiamo una bussola, un segnale di apertura. Perché aprire è una scelta, lo è, lo rappresenta, e prima ancora della scelta arriva un movimento in cui l’anima è protagonista dell’essere. L’anima che ci spinge ad andare a destra, a sinistra, avanti, dove ci pare. E quindi ci spinge a decidere cosa fare. Ci spinge, per dire, esprimersi… ci induce … ci suggerisce … solletica il nostro entusiasmo.
Queste riflessioni non avvengono solo con il pensiero. Cioè non avviene una azione perché l’abbiamo pensata, strutturata. Avviene perché avviene in quanto energia. Avviene perché? Perché abbiamo posto la causa. E’ quella porta di quel bagno, è lì nel film di Muccino, è un varco temporale di aiuto, di stacco con una realtà che fa male, che brucia.
Stasera ho chiuso una porta, dispiace al mio amante sentimento, è un effetto di una causa logorante. Nuove scelte, tutto si trasforma. Colgo l’amaro con dolcezza perché sono consapevole della mia rivoluzione bellezza.
I poeti, gli artisti, i narratori ci hanno dimostrato che le porte d’ingresso di un treno sono tante. E’ anche perchè simboleggiano le opportunità, come i finestrini di un treno in corsa come lo scorrere di un film. Come le porte di una metropolitana, o di un parco… in cui siamo noi che possiamo decidere una direzione, in questo caso un’aggregazione, decidere una azione e indirizzare lo sguardo. Le porte rappresentano una casa, il proprio spazio, il proprio assieme. Le porte non si possono aprire con la retorica, l’odio, il dubbio e tanto meno con i luoghi comuni. Semmai si chiudono. Apriamo la porta per fare cambiare l’aria, per un segno di libertà. La porta che si apre come a scuola, al tempo della ricreazione.
In teatro non amo le porte, amo le quinte. Non amo vedere un personaggio entrare e uscire da una porta, amo vedere degli spazi, delle direzioni in cui un personaggio arriva da un punto, va verso un altro punto, esce da un punto, ritorna al punto. Il suo muoversi sul palcoscenico è prima ancora l’immaginario dell’agire visualizzato in forma compiuta, un’azione che segue un’altra. L’attore porge il suono di una battuta a chi è seduto in platea, chi la riceve può anticiparla perché sta empatizzando con quel movimento, quel testo, quello spettacolo, quella capacità. Sono entrambi, attore e spettatore, all’interno dello stesso spazio, non importa da quale porta sono arrivati, ci sono.
Ecco! Bravo! Questo credo sia la mia percezione di porta, di porte, di visioni, di opportunità. Prima, presente e dopo. Adesso come quell’adesso subito e reinterpretato dopo le migliaia di adesso inascoltati. Pazienza!!
Nel mio caso stamattina, quell’oggi di prima, quando mi dirigevo verso casa, dopo aver parlato di lavoro con una persona o piuttosto di reddito con una persona… La differenza sta nel fatto che dire lavoro più spesso è attinente ad un progetto in corso, reddito è per me un lavoro definito e consegnato, o un’immagine concretizzata, una bibita gassata che mantiene le bollicine.
In quell’adesso avevo l’obiettivo di mettere in movimento lo scooter, da più di un mese fermo, e nel frattempo c’era l’esigenza di andare in farmacia previo ritirare la ricetta dal medico.
Bene! Invece di andare dritto a casa e poi dal medico con lo scooter, ho deciso di recarmi a piedi dal medico per ritirare la ricetta, dopo andare a casa per fare ripartire lo scooter.
In questo gesto, in questa decisione, io ho aperto una porta del mio procedere. Ho aperto una porta d’istinto, forse involontariamente, o forse è stato un effetto. L’effetto di una azione che ne ha determinate altre. Un qualcosa di impalpabile di cui assaporo forza e bellezza ancora adesso, assaporo il ricordo, la gentilezza. So che mi ha dato coraggio, necessario.
Sto qui a parlare di questo, grazie a questo.
Sto qui a scrivere grazie a questo susseguirsi di concause.
Lo trovo fantastico, tutto ciò. Lo trovo meraviglioso. Una meraviglia, una apoteosi, una esaltazione. Lo trovo un incedere di belle idee o brutte idee, è un susseguirsi di immagini relative per ognuno.
Adesso, non so perché mi viene il termine indulgente, cosa vuol dire essere indulgenti? Con sé stessi? Voglio andare ad approfondire la parola indulgente. È una persona disposta a perdonare, sensibile. Perdonarmi. La bellezza di aprire la porta al proprio sé, del proprio essere più nascosto, del proprio scantinato delle emozioni.
Ognuno di noi nel nostro essere ha la porta del suo scantinato, il ripostiglio delle emozioni, del karma. La porta di ciò che si è consumato porta a ciò che si consumerà, in cui si trovano le emozioni, si trovano le azioni. Si trova la soluzione di ogni cosa. Questo è splendido.
Questa è la gioia, la porta dell’amicizia tra due sguardi. La porta in cui incontri ciò che desideri e manco tu sai dove stai andando. È come aprire una porta a caso, come aprire la porta dell’ascensore. È un esercizio che faccio riguardo l’ascensore, che ho mutuato dalla settimana Hoffman, in cui scendo o salgo e poi si apre la porta dell’ascensore e quel luogo mi vuole dire o rappresenta qualcosa e ho bisogno di analizzarlo perché lì dentro c’è un messaggio. Straordinario.
Che potenza, una grandissima potenza, una meravigliosa potenza.
Appartengo a questo mondo, in questa modalità, con questa età, con questa passione, con questa vocazione, con questa direzione, con questa necessità, con questo scambio, con questo altruismo, con questa gioiosità, con questo umore, con questo scrivere, o saper scrivere, con questo raccontare, o saper raccontare, con questa dialettica. Con questo progredire. Con questo dire. Con questo coinvolgimento, con questo abbracciare me stesso e gli altri.
Un’altra musica, un’altra pausa. Un brano abbastanza minimal, ripetitivo, altrettando standard suggestivo.
Divenire è già essere ciò che si è, cambia solo la chiarezza, perché nel divenire c’è la volontà, il sogno, la missione che realizziamo. La chiarezza, strumento indispensabile per costruire un’identità.
È ovvio che parlando di porte includo la porta che mi ha chiuso Resa, è normale! no? Cioè, è funzionale. Resa chiude una porta, e dice “qui non ci devi bussare più, ok? Non mi contattare” che equivale a “non mi stonare”, oppure a “non ti voglio sentire!”. Ok l’ho capito Resa, faccio lo stesso, forse non te lo aspettavi, o forse sì! Che bella la consapevolezza che ti abbraccia con tutto il suo coraggio è gioia da condividere, è energia quella che arriva ovunque. Cambiarsi per cambiare!!
Questa chiusura di porta, mi porta, con un gioco di parole, ad aprire la mia mente, le mie porte, it takes me to a philosophical passage. Ma non lo fa contestualmente. Cioè la porta è chiusa, e non mi porta ad aprire altre porte, no! Metto in campo riflessione e pazienza.
Avviene una apertura, prima immaginaria poi reale, perché c’è il movimento dell’anima che essendo in moto con il suo primario essere cerca delle risposte. Quindi voglio paragonare la porta a dei cassetti, ad un data base. Ad una libreria piena di storie.
Mentre faccio questa considerazione, penso al lavoro video che ho visto in quell’ieri sulle parole, non è quello con cui inizio questo racconto, quello di quell’oggi, tutt’altra cosa. Ho avuto da discutere, mi è stato chiesto di guardarlo, di dare un commento. Mi sono un po’ incartato perché ho sentito determinate emozioni melense, cucite a forza, autoriferite. Ho visto assenza di disponibilità verso un pubblico, il piace perché mi piace. Purtroppo il video parlava e la sua voce arrivava confusa, era confusa forse perché stava dietro ad una porta. Ho comunicato questo mio sentire, prima durante e dopo. Non so se l’autore le ha digerire bene le mie deduzioni. Quanto è difficile dire la verità quando chi ti sta difronte si è costruito un film su di te e non gli coincidono le battute. Quando c’è l’indisponibilità come si fa? L’ho scoperto in parte, ogni volta una nuova volta.
Emozioni su emozioni, gioia e gioia, dolore e dolore.
Selezione automatica delle cose, degli stati d’animo, flusso, work in progress, pulizia. Anche. Parlare di porte apre un mondo variegato, ci sono anche pensieri di superstizione, di tradizione, di eleganza, di sfarzo, di rappresentanza. Per esempio i pomelli di una porta, la tipologia di una porta. Magnifico. Magnifico. Il susseguirsi delle cose, di porta in porta. Di porta in porta come i venditori.
Di porta in porta vendono qualcosa, di porta in porta si consuma una dare e ricevere. Il venditore che va porta a porta, cosa propone di porta in porta. Bussare, farsi aprire, parlare.
C’è una serie televisiva su Netflix che ho guardato, seguito, si intitola Self-made: la vita di Madam C.J. Walker. Racconta di una donna Addie Monroe che bussa alla porta di Sarah Breedlove perché quest’ultima aveva problemi alla cute dei capelli, lei di fatto non lo sapeva, lo ha percepito senza una chiara intuizione, ha agito, ed ha centrato! Nel film è molto bella questa scena e ben descritta. Questo incedere della venditrice verso la cliente e in mezzo una porta a vetri, il suo ingresso in casa. Questa determinazione e questo atto di coraggio che vediamo in un venditore alla conquista di un cliente e con le più autorevoli verità. Addie, la donna che bussa alla porta è mulatta, mentre la donna che apre, Sarah, è di colore. La porta si apre e avviene la vendita del prodotto. A seguire, per due anni, un trattamento settimanale in cambio di biancheria lavata. La soluzione funziona e Sarah si propone come venditrice, Addie rifiuta. Sarah fa un tentativo all’insaputa di Addie al mercato e vende tutte e 20 confezioni, immagina una collaborazione. Addie non vuole assolutamente entrare in un rapporto più o meno subordinato con una donna di colore, lavandaia, anche se lei stessa appartiene a questa discriminazione sociale essendo mulatta. Sarah non si perde d’animo e incomincia a fare prove a casa nel tentativo di ricreare lo stesso unguento. Ci riesce anzi lo migliora rendendolo più inodore. Nel racconto televisivo alcune cose sono state cambiate, sta di fatto che Sarah Breedlove, nota come Madame C.J. Walker è stata un’imprenditrice, filantropa e attivista statunitense. È considerata la prima donna americana che senza aiuti è diventata milionaria. Tutto questo è passato attraverso una porta.
Questo bussare, questo gesto, questa scelta, questa linea ha portato questa donna a diventare molto ricca e a lasciare una eredità incredibile del suo fare. Oggi un nuovo film. Una ricchezza non solo patrimoniale, ma un esempio di forza d’animo e di volontà, di passione e di determinazione.
Questa donna ha tentato di convincere il suo mentore a lavorare per lei, ma quella donna ha rifiutato e quindi Sarah è andata per i fatti suoi, per la sua strada. Verso altre porte.
Di porta in porta, di pensiero, in pensiero. Da un’idea ad un’altra idea.
Altro riferimento alle porte che sono quelle dei balconi, le finestre. In quella pubblicità del 1990 del profumo Egoiste di Chanel in cui le donne aprivano a tempo di musica le ante per urlare, parlare… lanciare lo slogan.
Sbattere una porta, lasciare un segno della propria arrabbiatura, serve? Invochiamo la porta dei desideri la porta delle nostre abitudini sbattendo la porta, risponderanno?
Ti ho vista e guardata fugacemente mentre eri in balcone, il tuo balcone. Ho visto solo che indossavi una maglia rossa, mi è sembrato, rosso un bel colore. Forse sistemavi le piante o qualcos’altro. Una donna scrive una frase di Rumi su una pagina social “Non cercare perle in un cubo d’acqua. Dovrai immergerti nelle profondità dell’oceano per trovarle”.
Apriamo le porte per confidarci per andare verso nuovi spazi, alla scoperta. Sappiamo che abbiamo lottato tanto e tanto lotteremo. C’è una cosa che un giorno ti confiderò e se la dimentico basta il pensiero di averlo fatto.
Penso allo sportello, la porta della macchina. Aprirla per accogliere la tua donna è un gesto elegante, sacro