Mistico

Elettra di Sofocle, traduzione di Giorgio Ieranò, regia di Roberto Andò
Edipo a Colono di Sofocle, traduzione di Francesco Morosi, regia di Robert Carsen. Per la 60ª stagione dell’INDA (Istituto Nazionale del Dramma Antico) al Teatro Greco di Siracusa 

Uscendo dal Teatro Greco di Siracusa mi sono fermato a mangiare un buonissimo panino concepito in un camion ben attrezzato. Davanti tavoli sparsi, mentre gustavo le mie patatine e la birra, alcune persone discutevano della loro esperienza appena trascorsa e facevano un confronto fra lo spettacolo Elettra per la regia di Roberto Andò in scena il giorno prima il 9 maggio e Edipo a Colono per la regia di Robert Carsen, che si era appena concluso. Tra tanto dire, mi ha colpito il commento su Elettraè stato più pesante da seguire

Portata a casa la dichiarazione di una giovane donna rappresentante del pubblico, la condivido e la utilizzo come incipit di questo post frutto di una esperienza siracusana di due giorni.

Perché? Perché desidero porre l’attenzione su un principio di fondo che ritengo interessante “l’essere spettacolo”, ovvero la capacità della messinscena, di accontentare, servire, pubblici diversi. Per me questo è importantissimo. Soddisfare sia chi conosce la storia (chi ha letto il libro o ha seguito altre edizioni), sia chi è lì, davanti alla scena, per la prima volta. Lo spettatore che si è fatto un regalo, ha comprato un biglietto e desidera portarsi a casa un racconto, una storia, la bravura degli attori, il contesto, le scene, la piacevolezza della regia.

Così decido di mettere in fila i due vissuti in ordine di tempo e li porto all’attenzione di chi mi legge in un unico contenitore partendo proprio dalla capacità di un drammaturgo di offrire allo spettatore non soltanto la battuta, il significato, la storia e la narrazione. La capacità di soddisfare il pubblico

Giorno 9 maggio in scena Elettra, personaggio della mitologia greca, oggetto di numerose rielaborazioni e reinterpretazioni nel corso dei secoli, sia in ambito letterario che teatrale. Il suo mito, legato alla vendetta per l’uccisione del padre Agamennone, continua a influenzare l’arte e la cultura occidentale, ispirando opere di autori come Euripide, Sofocle, Hofmannsthal, Prosper Jolyot de Crébillon e molti altri. 

Quella a cui assistiamo è Elettra di Sofocle. Il figlio di Agamennone, Oreste, interpretato da Roberto Latini, torna dopo molti anni a Micene in compagnia di Pilade interpretato da Rosario Tedesco e del Pedagogo interpretato da Danilo Negrelli. Su ordine di Apollo, Oreste deve vendicare la morte del padre, ucciso dalla moglie Clitennestra interpretata da Anna Bonaiuto e dal suo amante Egisto interpretato da Roberto Trifirò per usurparne il trono. L’antefatto vuole che da bambino Oreste correva il rischio di essere anch’egli ucciso in quanto erede al trono. Era stato salvato dalla sorella Elettra interpretata da Sonia Bergamasco che affidato ad un uomo focese, suo zio Strofio, lo aveva tenuto lontano dagli intrighi di palazzo. Da quel giorno Elettra, che provava un odio profondo (e ricambiato) verso i due assassini, aveva vissuto nella speranza che Oreste un giorno potesse tornare a vendicare il padre.

Lo spettacolo inizia dal momento che Oreste torna a Micene all’insaputa di tutti. Diffonde la falsa notizia della propria morte. Elettra è disperata, si fa coraggio e decide che sarà lei a vendicare il padre. Ottenuta la prova della fedeltà della sorella, Oreste le rivela la propria identità, ed insieme i due organizzano un piano per attuare la loro vendetta. Oreste penetra nel palazzo e uccide senza pietà la madre supplicante, poi incontra Egisto e lo trascina fuori scena per ucciderlo; proprio su questa immagine si chiude la tragedia.

Arrivo a Siracusa mosso dalla curiosità. Felice di vedere un nuovo spettacolo di Roberto Andò un regista di cui apprezzo la maestria. A marzo di quest’anno mi è piaciuto molto il suo spettacolo Sarabanda con Renato Carpentieri, Alvia Reale, Elia Schilton, Caterina Tieghi, candidato al premio Le Maschere del teatro italiano. Inoltre Andò conosce bene l’INDA, è stato artefice di interessanti novità.

Eccomi in compagnia di amici e colleghi. Un contesto all’aria aperta, antico, mastodontico, importante, con le sue regole.

Dopo il saluto del Sindaco Francesco Italia e la presentazione del programma della prossima stagione che si basa su Eschilo Euripide e Sofocle da parte del Consigliere Delegato INDA Marina Valensise, inizio subito a raccogliere in sottofondo il rituale di Giovanni Sollima, il suo violoncello è inconfondibile.  Segue una comitiva di attori che sembrano gli amici davanti a un muretto alla ricerca di posizioni in una scena (di Gianni Carluccio) che mi fa pensare al Cretto di Gibellina l’opera di arte ambientale di Alberto Burri realizzata nel luogo in cui sorgeva la città vecchia completamente distrutta dal terremoto del 1968.

Mi colpisce la battuta “un cavallo di razza, anche se è vecchio, non si smarrisce per la paura e drizza sempre le orecchie di fronte al pericolo la recita Oreste, dà vigore ad inizio spettacolo. Bene! Sono istanti in cui sono fiducioso, mi sembra che questo sia prologo e offerta di un poeta. È inoltre pregusto una simmetria mentre sono distratto dalla luna e mi chiedo se è piena.

La protagonista Elettra si presenta al pubblico dopo circa 15 minuti, alle sue spalle entra una moltitudine di donne/ragazze, è il coro di donne di Micene, prorompenti come tante Malena (Monica Bellucci di Tornatore) il loro movimento appare poco chiaro, assomiglia ad una prova, mi imbarazza.

Manca l’eco della tragedia greca. Fermo l’attenzione su un’altra battuta “il tuo dolore è senza scopo, inutile” che sul copione del programma di sala è riferita al coro. Non ricordo chi l’abbia recitata se Simonetta Cartia, Paola De Crescenzo, Giada Lo Russa o Bruna Rossi, mi arriva piatta, come se l’avesse recitata un “madonnaro” mentre la dipingeva in terra. Da questo momento in poi quella mia eccitazione iniziale, quel coinvolgere i miei amici da qualche giorno, quell’interesse per questo allestimento incomincia a calare fino ad arrivare a “fatti coraggio figlia mia“. Non capisco cosa stia succedendo.

A cosa servono i classici? Cosa sono i classici? Qual è la loro musicalità? Che funzione ha il teatro antico? Lo spettacolo che mi trovo davanti mi sembra ristretto, come se il regista stia lì a ricalibrare tutto. Pur bravi gli attori, questa “prima” davanti ad un pubblico di 4500 persone, per me non parte.

Attorno a me tanti giornalisti che prendono appunti con la mia stessa voracità. Forse perché dopo circa 40 minuti secondo me il pubblico non è stato ancora afferrato. In questa dimensione si sente soltanto la scomodità della seduta. Finché qualcosa cambia…anche se poca cosa.

Una nuova battuta che ricopio nel mio quadernino “ora sorella assolvi al tuo compito“. È arrivata forte, chiara, delineata in un contesto che finora sembra dispersivo. Accadono due cose. Un grande applauso e a seguire ingresso di Clitennestra. Si passa al mito! Arriva l’eco della voce, non so se è un cambio di modulazione registica, so che accolgo la maestria di Anna Bonaiuto differente da tutte le scene precedenti. Sonia Bergamasco con tenacia e bravura si affianca a lei “per quale ragione ti comporti nel modo più vergognoso anche adesso cosa può giustificare il fatto che tu vada a letto con l’assassino con l’uomo insieme al quale ha ucciso mio padre” e da un nuovo slancio alla messinscena. Due donne importanti, due brave attrici, un momento decisivo. Fin adesso lo spettacolo è stato un ottovolante.

Si aggiunge il fatto che il pubblico, in alto alle gradinate, si muove e, passando davanti alla luce, disturba la scena creando ombre. Ogni persona che percorre il corridoio in alto porta la sua presenza laddove c’è lo spettacolo e questo non so se distrae, so che si nota. Poteva essere un effetto. Così ripetitivo, no.

Sul mio libretto di appunti scrivo altre cose. Mi piace seguire il monologo del Pedagogo “sono stato mandato qui per dirtelo e ti racconterò tutto” riferendosi a Clitennestra. Mi sembrano entrambi proporzionati, ma continua a non bastarmi. Mi ritrovo a guardare una scena in cui il coro è disseminato come se fosse ad un picnic.

Immagino che Roberto Andò, regista quotato, maestro, questa volta ha fatto le cose di fretta. Mi dispiace, non mi arriva la regia, quelle scelte che appassionano lo spettatore.

Il pubblico vuole conoscere una storia ed entra in teatro spesso privo di info e dettagli, a volte non conosce neppure il titolo. Dovrebbe essere così. Una fruizione teatrale didascalica, professionale, contribuisce alla pace. È compito degli attori, dei tecnici capitanati dal regista, drammaturgo, mettere in scena “lo spettacolo”. In questa occasione non l’ho visto

Dall’esperienza Elettra esco perplesso anche se nel dettaglio mi piacerebbe esaminare le varie esperienze degli attori e delle attrici, faccio un veloce giro sul web.

Roberto Latini dice in una intervista pubblicata sull’account INDA su FB “stiamo lavorando nel privilegio di essere ammessi all’occasione del Teatro Greco, all’occasione di questi testi, di questi personaggi. Siamo tutti quanti nell’ascolto di questo spazio”. Trovo un sunto su AI Overview di Google “La recensione dello spettacolo “Elettra” di Roberto Andò, con Sonia Bergamasco nel ruolo di Elettra, è generalmente positiva. Le recensioni evidenziano l’intensità dell’interpretazione di Bergamasco, l’austera Clitennestra di Anna Bonaiuto e l’efficacia di Roberto Latini in Oreste (…) Alcuni potrebbero trovare l’opera troppo concentrata sull’emotività di Elettra, trascurando altri aspetti del testo”. Il titolo di Repubblica “l’ira di Sonia Bergamasco: Elettra è un match tra attrici di rango

A questo punto possiamo a Edipo a Colono. I miei amici sono rimasti a Catania. La soluzione è il bus, ed è possibile perché lo spettacolo termina alle 21 circa e ho il tempo di mangiare un panino (l’ho già scritto all’inizio) e prendere il bus delle 22.

All’ingresso in teatro mi accoglie la scena monumentale di Radu Boruzescu, di un verde pazzesco, immagino quante prove colore hanno fatto i fantastici costruttori del laboratorio di scenotecnica dell’INDA. Le scatto una foto.

Forse c’è un po’ meno gente di ieri, alcuni arrivano proprio mentre il suono di un energico tamburo significa il “chi è di scena”.

Non è un tamburo! E’ il bastone di Edipo, interpretato da Giuseppe Sartori, che scende le scale al centro del primo settore dei posti in cavea dove già gli spettatori, me compreso, stanno ammirando tutto il contesto.

Accanto a Edipo c’è Antigone, interpretata da Fotinì Peluso classe 1999. Il suo nome in greco significa luminosa. Nata nel quartiere Monteverde di Roma da madre greca e padre italiano, ne ha preso tutta l’accezione migliore: «il mio nome è sempre stato un po’ ingombrante, ero la bambina col nome strano, esuberante, creativa, vivevo nel mio universo”. Sul web leggo anche che è uno dei volti più promettenti del cinema italiano. Forse è una delle sue prime esperienze in teatro.  L’INDA la presenta così “L’attrice è il volto nuovo della stagione dell’Inda” lei risponde “il personaggio di Antigone è il più bello di tutti (…) è il ruolo di colei che vede e non semplicemente guarda (…) è un’emozione unica trovarmi qui in questo teatro. Reputo una fortuna incredibile poter partecipare ad una esperienza del genere con un maestro come Carsen (…) lo spazio naturalmente influenza l’energia con cui recitiamo”

Questa motivazione si vede, l’ingresso padre e figlia ci da questa sensazione, un grande avvio della scena.

Pochi istanti dopo quel bastone che percuoteva le scale d’accesso i due protagonisti vanno prima all’orchestra e poi allo skenè lo spazio sacro. Risuonano le battute “chiedo poco (…) me lo hanno insegnato le sofferenze” di Edipo come sigla delle meraviglie. Penso che i miei amici potevo coinvolgerli per oggi.

Si sente la lirica delle parole, il teatro antico. L’avevo già indicato, mi affascina la bellezza della scena. Il Coro degli abitanti di Colono è perfetto, i movimenti sono reali, sinceri, il loro recitato all’unisono. Wow! Mamma mia! Antigone mi commuove!

Se penso che la direzione era Andò, e che mi trovo a Carsen! Lo considero un regalo della mia passione! Dell’Universo, dell’Ufficio Stampa dell’INDA.

Edipo, ormai cieco, nel suo peregrinare insieme alla figlia Antigone, arriva a Colono, “il quartierino” di Atene. La profezia diceva che lì sarebbero terminati i suoi giorni. Gli abitanti del luogo, riconosciuto Edipo, vorrebbero allontanarlo, ma Teseo il re di Atene, gli offre ospitalità e protezione. A questo punto Edipo rivela a Teseo che quando i Tebani diverranno nemici degli Ateniesi la sua tomba preserverà i confini dell’Attica.

Padre, sorella: due nomi per me carissimi. Quanto mi è costato trovarvi; e ora, quanto mi costa guardarvi, in mezzo al dolore”. È Ismene interpretata da Clara Bortolotti, l’altra figlia di Edipo, li raggiunge. La più giovane attrice nel cast, anche lei al suo esordio in teatro. Anche lei entra dalle gradinate. Mi colpisce il suo recitato, sembra straniera. Il connubio con la musica mi riporta a Demetrio Stratos questo è un altro momento di bella fruizione.

A seguire dopo il dialogo tra Edipo e il coro entra in scena Massimo Nicolini che nel 2009 aveva già interpretato Teseo in una edizione di Edipo a Colono con la regia di Daniele Salvo con protagonista Giorgio Albertazzi “una fortuna enorme, entravo in scena a cavallo, a 27 anni è stata una cosa che io mi ricorderò per tutta la vita” (seguo una intervista di Gianni Catania su FM ItaliaTV).  Massimo Nicolini racconta quello che nel testo avrebbe dovuto fare Clara Bortolotti, Carson ha preferito diversamente.

Il pubblico è agganciato, l’atmosfera è magica. Le parole sanno dare gioia.

Smetto di prendere appunti, seguo lo spettacolo felice. Una “miscellanea” di movimenti, il coro, le luci, gli attori tutto sapientemente orchestrato dalla regia di Robert Carsen.

Francesca Romana Vitale su Facebook scrive perfettamente, il suo commento è appropriato l’essenza sta in questa chiusa “E se tutto questo passa così, in maniera semplice, perché le parole e la storia, vivaddio, sono tornate a essere essenziali, vuol dire che lo spettacolo è un grande spettacolo.”

Così arriva il retrogusto di una ricarica culturale “Qualcosa è successo”. Fa bene andare a TEATRO. Grazie!

Giovanni

Caparezza, ti fa star bene
Una meticolosa prova o un meticoloso preparare, che sia un viaggio un risotto uno scritto. La velocità dei pensieri dei pensieri sembra un gioco di parole, il pensiero veloce è un altro pensiero. L’ambizione di poter cantare e pensare a questa velocità. Gli amici del bar che ti/ci incoraggiano. Un teatro dove ci si può esprimere come in una stand up comedy. Potresti raccontare/dire “voglio essere un ballerino“. Potresti dire la danza è una maestria che mi manca. La capacità di conoscere i passi e metterli in riga, capirli, ripeterli è figo. Grande studio in gruppo come portarsi un PC o un quaderno di appunti al mercato mentre in pieno giorno tutto attorno si muove e interagisce con i nostri pensieri. La radio che strumento importante !

Rino Gaetano, ma il cielo è sempre più blu
Una canzone nel cui titolo c’è un “ma”. Anche qui in proiezione c’è l’ordine. Mi sembra come guardare la scrivania sistemarla prima di mettersi all’opera. In questa scelta c’è continuamente il blocchetto di appunti e la contemplazione, un mood. Si sente il prologo come il precedente brano, qui come intenzione. Mettere in fila i sogni. Una descrizione delle relazioni un po’ sapiente, un gioco giudizio. Nel contesto arriva il sax che oggi rappresenta uno strumento molto contemporaneo per il suo smarrimento. Il sax è il segnale della retorica e della semplicità, quella senza sforzo. La ripetitività, l’uguaglianza di stile. La semplicità interessante è con lo sforzo perché è creazione. La canzone sfuma come se fosse noia

Maneskin, i wanna be your slave
Un grande incoraggiamento. Un inno alla riscossa, al nuovo, all’eccentrico dorato. C’è sempre la selezione delle utilità, c’è il desiderio dell’ordine qui, in questa canzone, con un interessante voce di continuità. Disordine ordine disordine ordine. C’è un incitamento da prato sportivo. Oppure è come se il portiere di uno stabile decidesse di far ballare tutti e alza il volume della sua radio, lo sa fare perché è così. Ci riporta un passo del cinema anni 80. Il film Saranno famosi in una scena il tassista genitore di un musicista pone la radio a tutto volume e tutti ballano. Mi chiedo se volessi essere spettatore o interprete. Suoni uno strumento o ti piace farlo? Qui c’è un aspetto duplice è interessante della tua personalità. Sai tu di cosa parlo io non lo so.



Papa Leone XIV

La pace sia con tutti voi.

Fratelli e sorelle carissimi, questo è il primo saluto del Cristo risorto, il buon pastore che ha dato la vita per il gregge di Dio.

Anch’io vorrei che questo saluto di pace entrasse nel vostro cuore raggiungesse le vostre famiglie a tutte le persone ovunque siano a tutti i popoli a tutta la terra. La pace sia con voi

Questa è la pace di Cristo risorto, una pace disarmata in una pace disarmante umile e perseverante. Proviene da Dio, Dio che ci ama tutti incondizionatamente

Ancora conserviamo nei nostri orecchi quella voce debole ma sempre coraggiosa di Papa Francesco che benediva Roma.

Il Papa che benediva Roma dava la sua benedizione al mondo, al mondo intero quella mattina del giorno di Pasqua. Consentitemi di dar seguito a quella stessa benedizione. Dio ci vuole bene. Dio vi ama tutti. E il male non prevarrà.

Siamo tutti nelle mani di Dio. Pertanto senza paura uniti mano nella mano, con Dio e tra di noi andiamo avanti. Siamo discepoli di Cristo, Cristo ci precede.

Il mondo ha bisogno della sua luce. L’umanità necessita di lui come il ponte per essere raggiunta da Dio e dal suo amore.

Aiutateci anche voi poi li uni gli altri a costruire ponti con il dialogo, con l’incontro. Unendoci tutti per essere un solo popolo sempre in pace. Grazie a Papa Francesco

Voglio ringraziare anche tutti confratelli cardinali che hanno scelto me per essere successore di Pietro e camminare insieme a voi come chiesa unita cercando sempre la pace la giustizia. Cercando sempre lavorare come uomini e donne fedeli a Gesù Cristo senza paura per proclamare il vangelo per essere missionari

Sono un figlio di Sant’Agostino, agostiniano che ha detto con voi sono Cristiano e per voi vescovo. In questo senso possiamo tutti camminare insieme verso quella patria, la quale Dio ci ha preparato. Alla chiesa di Roma un saluto speciale.

Dobbiamo cercare insieme come essere una chiesa missionaria. Una chiesa che costruisce i ponti e il dialogo sempre aperta a ricevere come questa piazza con le braccia aperte a tutti, tutti coloro che hanno bisogno della nostra carità la nostra presenza e dialogo l’amore.

A tutti voi fratelli e sorelle di Roma, di Italia, di tutto il mondo vogliamo essere una chiesa sinodale, una chiesa che cammina, una chiesa che cerca sempre la pace, cerca sempre la carità, cerca sempre di essere vicino specialmente a coloro che soffrono.

Oggi è il giorno della supplica alla Madonna di Pompei. Nostra madre Maria vuole sempre camminare con noi stare vicino aiutarci con la sua intercessione il suo amore. Allora vorrei pregare insieme a voi.

Preghiamo insieme per questa nuova missione, per tutta la chiesa, per la pace nel mondo. E chiediamo questa grazia speciale di Maria nostra madre.

Ave Maria piena di grazia, il Signore è con te. Tu sei benedetta fra le donne e benedetto è il frutto del tuo seno Gesù. Santa Maria madre di Dio prega per noi peccatori adesso e nell’ora della nostra morte. Amen

Discorso di Papà Leone XIV nel pomeriggio dell’8 maggio 2025

Metafisica e metamorfosi

Alla ricerca di connessione per anime gemelle. Per allargare il sapere, per avere risposte, per creare valore. Cambio di prospettiva, desiderio di contemplare in due ciò che accade. Inquadrare un quadro alla parete accanto ad un’altra persona. Questa idea arriva dopo ampio ragionamento. Nel frattempo tra cucina e soggiorno stamattina scrivo il fluire del mio sentire come sempre, metafisica e metamorfosi. Oggi il mio diario cartaceo è pieno, serve comprare uno nuovo. Da anni e anni conservo a zapping nel migliore dei modi tutte le sensazioni che mi porto dietro da ogni vissuto, preferisco la mattina, qualsiasi momento è possibile. Eccomi in questi giorni (lavori, risposta a mia sorella Paola, progetto attività varie, ricerca di collaborazioni, studio), eppoi ieri sera in particolare. Mi piace decodificare i suoni che stanno attorno a me, quel sentiere percettibile e impercettibile che vivo, il ciò che mi nutre di gioia e/o di domande. Vivo un momento interiore complesso (la pancia gonfia è l’evidenza) e allo stesso tempo benessere, traguardi, nutrimenti dell’anima, esperienze che fanno il loro corso, che sopperiscono ad alcune mancanze, posso dire sorprendendomi. Sono effetti di consapevoli azioni (decisioni) poste con fede e determinazione nel momento che mi è stato chiaro che amarsi è il primo fabbisogno. Tutto mi porta a pensare di avere soddisfazioni. Intendo il piacere per esempio di essere stato ieri sera alla consolle come dj per la festa di compleanno di mio genero, il marito di mia figlia Chiaralea. In questo contesto determinate separazioni tra il personale e il chimico di conoscenze alternanti si sono annientate. Attraverso gli occhi di altri avviene una continua e magnifica scoperta di me, la dichiarazione del talento. Scopro e abbraccio la mia anima senza avere bisogno di niente altro. Quando in passato ho sentito l’espressione “essere un guerriero” non pensavo che avrei provato lo stesso in questi momenti. Si! La percepisco questa misura, adesso come ieri sera. Attraverso ogni sfida e mi godo il silenzio (l’apparente solitudine), frutto di una scelta, di una coraggiosa rinuncia a quei vuoti generati da relazioni fittizie. Vado avanti scrivendo la traduzione di ogni dettaglio, di ogni scelta continua. So che la lettura migliore di un vissuto è dopo qualche tempo affinché questo diario del susseguirsi di attimi sia una traccia del mio potere, domani è già come un racconto in divenire

Il teatro? Ti devi divertire!

Un nuovo incontro con Franz Kafka.

Vittorio Gassman, nel 1985, era in tournée con lo spettacolo “Non Essere” in cui ad un certo momento alternava battute, dall’opera teatrale Disordine e Genio di Alexandre Dumas, ispirata alla vita dell’attore britannico Edmund Kean, con questa “Ultimamente, nel lavoro di uno dei diecimila fanfaroni che straparlano di me sui giornali, ho letto che la mia natura di scimmia non sarebbe ancora del tutto soppressa, e lo dimostrerebbe il fatto che provo piacere a togliermi i pantaloni davanti ai visitatori per mostrare il foro d’entrata di quel colpo. A questo bel tomo bisognerebbe far saltare ogni singolo ditino della mano con cui scrive. Io, io posso togliermi i pantaloni davanti a chi mi pare; là sotto non troveranno altro che una pelliccia ben curata e una cicatrice dovuta a un – scegliamo qui per uno scopo definito una parola definita, che però non vuol essere equivocata – la cicatrice dovuta a un colpo scellerato. Tutto è alla luce del sole; non c’è niente da nascondere; quando un uomo di alti principi si avvicina alla verità mette da parte i modi raffinati. Se invece fosse quel giornalista a calare i pantaloni davanti ai visitatori, la cosa avrebbe un aspetto diverso e ammetterò che sarebbe ragionevole se non lo facesse. Ma allora che non rompa le scatole a me con le sue delicatezze”.

Da queste affascinazioni nacque una intervista sulla tappa di Catania dello spettacolo suddetto, si trova su YouTube, titolo “Vittorio Gassman a Catania”. Seguirono altri approfondimenti dello stesso autore, tra cui Visita alla miniera, racconto all’interno di un corposo reading teatrale in scena quest’estate in un quartiere periferico di Catania. Entrambi i racconti sono stati pubblicati nel 1919 in volume nella raccolta “Un medico di campagna”.

Una relazione per un’Accademia, a cui mi riferisco con la suddetta citazione, è lo spettacolo presentato da Fabbrica Teatro in questi giorni a Catania.

Si chiama Rot Peter, il ruolo interpretato da Sabrina Tellico, la scimmia a cui Kafka dà voce nel 1917 con un racconto breve che affronta in termini grotteschi la condizione di chi è costretto a vivere un’esistenza che non gli appartiene pur di conformarsi ai dettami della società e ricavarne una forma di libertà. Non è stata la sola ricerca della libertà a suggerire la soluzione, la necessità. Questo testo mette in primo piano le realtà nascoste ed oppresse dell’uomo e dell’attore, della scimmia che le contiene entrambe. La metafora che racconta un cambiamento, la volontà che ci porta ad ottenere la luna.

In questo caso ci ritroviamo ad ascoltare una scimmia trasformatasi in relatore accademico, all’interno di uno spazio a misura d’uomo, raccolto, intimo, partecipato, senza delimitazioni, dove tutto è a vista.

Il pubblico sta a contatto con la scena di Bernardo Perrone come accade in un ambiente privato o in quelle cantine culturali degli anni ’70 dove si spingevano, si realizzavano, le sollecitazioni teatrali verso nuovi approdi.

Eccoci qua spettatore a raccogliere subito il fiatone e la richiesta di un applauso, tra una danza alla Michael Jackson, una banana, una porta e una scala; inizia questo allestimento, una nuova versione. Si potrebbe rimanere stupiti, distratti. Il talento della protagonista che ti conquista subito, ti porta sempre a seguirla, la sua maestria è una garanzia .

Lo spettacolo nasce da un sodalizio che procede da anni tra l’attrice Sabrina Tellico e il regista Elio Gimbo. Questo spettacolo è l’espressione più significativa e liberatoria tra quelli realizzati da questa coppia di artisti a cui ho assistito in passato, una verità messa in campo, quindi coerente con la messinscena.

Elio Gimbo: “Questo è il terzo Kafka che faccio. All’inizio volevo fare uno spettacolo sull’uomo sapiens, ispirato da Yuval Noah Harari “Sapiens, da animali a Dèi” o dal saggio di Jared Diamond “Il terzo Scimpanzé”. I racconti su come dalla scimmia si è arrivati al sapiens (…) che differenze ci sono? Sono libri bellissimi. Volevo fare qualcosa su questo tema. Poi ho deciso di mettere tutte queste info e puntare su questo testo (…) In mezzo ci sono stati diversi contributi tipo il ragionamento che questa scimmia asserisce di essere una performer, e questo fa “assai” la differenza (…) diventa un fenomeno da baraccone. Kafka scrive questa cosa per raccontare nel 1917 l’assimilazione ebraica, cioè gli ebrei sparsi in tutto il mondo e si erano integrati. Erano diventati Tedeschi, Cecoslovacchi perdendo la cultura originaria (…) Ad un certo punto mi è spuntata questa cosa di Michael Jackson che ha fatto esattamente lo stesso percorso, cioè ha negato la propria negritudine. Lì ho cominciato ad orientarmi. Deve essere un performer, deve avere questo tipo di storia e poi altre cose come la banana messa alla porta (come la “banana di Cattelan”, opera d’arte “Comedian” di Maurizio Cattelan, è una banana appesa al muro con del nastro adesivo. L’opera, creata con oggetti di uso quotidiano, è stata venduta per milioni di dollari. N.d.R.)  lì ho pensato come faccio a farla tornare indietro? Con un passaggio repentino? (…) aggiungo al mio pensiero la frase “La rosa è una rosa è una rosa è una rosa” (scritta da Gertrude Stein come parte della poesia del 1913 “Sacred Emily”, apparsa nel libro del 1922 Geography and Plays. In quella poesia, la prima “Rosa” è il nome di una persona N.d.R.) è come dire: potete in fiocchettature quello che volete, ogni oggetto torna sempre alla sua origine (…) fare il cesso e dire che è un’opera d’arte, sempre cesso rimane (…) quindi la banana come quella di Cattelan per lei (il personaggio) è un richiamo, la odora e si ricorda che era scimmia (…) e poi per farla uscire dalla porta che è la Porta della legge di Kafka (…) (è una parabola contenuta nel romanzo il Processo. Un uomo di campagna persegue la legge e spera di conquistarla entrando in un portone. Il guardiano del portone dice all’uomo che non può passarvi in quel momento. L’uomo chiede se potrà mai farlo e il guardiano risponde che c’è la possibilità che vi riesca. L’uomo aspetta presso l’entrata per anni, tentando di corrompere il guardiano con i suoi averi; il guardiano accetta le offerte, ma dice all’uomo «Lo accetto solo perché tu non creda di aver trascurato qualcosa». L’uomo non tenta né di ferire, né di uccidere il guardiano per raggiungere la legge, ma attende presso il portone fino a che non sta per morire. Un attimo prima che ciò accada, chiede al guardiano perché, seppure tutti cerchino la legge, nessuno è venuto davanti alla porta in tutti quegli anni. Il guardiano risponde «Nessun altro poteva entrare qui perché questo ingresso era destinato soltanto a te. Ora vado a chiuderlo. N.d.R.) Kafka è una miniera!

Sabrina Tellico: “non è la prima volta che interpreto un uomo, ma qua in realtà non ho sesso” io aggiungo, qui in realtà hai un sesso, e le chiedo anche, quanto ti sei sentita ammaestrata “io come attrice nei confronti del regista? Sempre! Mi sento ammaestrata con lu. Cerco di uscire” chiedo sulla proposta di Michael Jackson “non so se lo ha fatto perché sa che mi piace quindi per invogliarmi visto che non ero convintissima di questo testo”

Confermo l’infinita stima per Sabrina Tellico, è una delle più brave attrici italiane. La stessa che di seguito durante questo spettacolo si alterna con eleganza in un tour de force di azioni e danze che sintetizzo in titoli di capitoli in ordine di apparizione: Fiatone; Richiesta di applausi; Donna afgana si muove alla Jackson in una location come nel prive di un locale o in un soggiorno; Battuta sul giornalista che mi ricorda Gassman, battuta recitata da Sabrina come fosse una suora, questa sensazione è stata pazzesca; Capelli congeniali, per un tratto sosia di Susan Sarandon; Clown che si muove urla, gioca; Calzini bianchi corti come il lupo in Balla con i lupi; Sospiri meglio definirli come gemiti; e tanto altro.

L’azione scenica simbolica dello spettacolo è il rumore della scala di alluminio mentre la scimmia si dondola. Evoca il suono dell’albero della nave che la porta nel mondo. Oltre alla porta che si chiude e che chiude lo spettacolo.

Uno spettatore si aggiunge alla nostra conversazione e dice “lo spettacolo è molto fruibile (…) è uno spettacolo per tutti, per chiunque”.

Si! il pubblico ha pienamente ragione. Penso proprio di sì. Questo è uno spettacolo per bambini e ragazzi, piace alla poesia.

L’idea di Elio Gimbo è quella di farlo girare verso altri teatri. Idea pertinente, la scimmia deve e può conoscere il mondo.

Capire come portate questa “familiarità” di espressione in luoghi dove da 20 spettatori si passa almeno a 100. E’ il mio augurio, e immagino di tanti.

Mi permetto di partecipare che dopo lo spettacolo con due amici astanti, Giuseppe Brancatelli e Francesco Rovella, partendo dalla storia della “Banana” appiccicata alla porta ho conosciuto la storia dell’opera d’arte A Perfect Daydi Maurizio Cattelan, realizzata nel 1999, che è consistita nell’appendere il gallerista Massimo De Carlo alla parete della galleria con del nastro adesivo. Questa performance ha suscitato reazioni diverse, tra cui ilarità e stupore, e ha portato De Carlo a svenire, finendo al pronto soccorso. L’opera è stata presentata alla Galleria Massimo De Carlo e ha destato un forte clamore nel mondo dell’arte. 

Lo spettacolo in generale è fruizione piena, meglio quando è professionista.

La conoscenza apre la porta alla nostra libertà. L’azione è il passo che ci permette di attraversarla e viverla davvero”. La frase suggerisce che la conoscenza apre le porte alla libertà, ma è l’azione a renderla vera e vissuta. In altre parole, la conoscenza è un passo necessario, ma non sufficiente. Si può conoscere molto, ma senza agire, la libertà rimane solo un concetto astratto.

Blasè

Parlare di organizzazioni teatrali è un piacere e se vogliamo un dovere per sollecitare una più vasta attenzione. “Officine Gorilla, in collaborazione con il Teatro della Juta, è un collettivo teatrale costituitosi nel 2016 per realizzare spettacoli con drammaturgie inedite. Pensiamo a un teatro fortemente legato alla collettività, come una finestra da cui lo spettatore possa affacciarsi e riconoscere il paesaggio che si trova davanti. Non dipingiamo paesaggi, certo, ma raccontiamo storie attraverso un teatro che amichevolmente chiamiamo “meticcio”, per la facilità con cui si lascia contaminare dalla danza, dal teatro di figura, dall’animazione, dalla musica, ma anche da ciò che ci sta intorno, dalle chiacchiere al bar, dai discorsi fra amici, dalle notizie sui giornali, dalle mode dei teenager e dalle tradizioni dei nostri nonni.

Questa è la presentazione della Compagnia che ho visto all’opera ieri sera da Zo Centro Culture Contemporanee per la rassegna teatrale Palco Off a cura dell’Associazione Culturale La Memoria del Teatro E.T.S.

Ieri mattina Renato Lombardo mi ha invitato a vedere Blasè di Luca Zilovich con Michele Puleio che “Se non facessi l’attore, sarei un macellaio“, e ha fatto bene, non solo perché l’occasione ha fatto si che venisse con me anche mia figlia, perché di questo connubio “meticcio” tra stand up comedy, cabaret, teatro e prova d’attore ho voglia di parlarne oltre al gusto di vedere camper e furgone parcheggiati fuori dal teatro che fanno sempre circo viaggiante, spero siano della Compagnia.

Il primo quid per una scrittura perché mi piace che sia uno spettacolo lavorato, uno spettacolo che è partito con una idea e una regia e man mano, negli anni, è ciò che ho visto.

Prima di tutto sono andato a cercare il significato di Blasè e ho trovato: oggi che gli sviluppi tecnologici coinvolgono sempre di più gli individui su larga scala (…) nella vita della metropoli moderna almeno due tipi umani si distinguono: il primo è il blasé, di cui si è occupato Georg Simmel; il secondo è il flâneur , reso celebre dalla poesia di Baudelaire e riportato in auge, negli anni ’30 del secolo scorso, da Walter Benjamin. La metropoli plasma il fattore della vita individuale che in essa si svolge: nel blasé, ad esempio, tutte le contraddizioni che essa porta con sé si sono, in qualche modo, reificate – specialmente da un punto di vista psicologico; secondo Simmel: “la base psicologica su cui si erge il tipo delle individualità metropolitane è l’intensificazione della vita nervosa, che è prodotta dal rapido e ininterrotto avvicendarsi di impressioni esteriori e interiori” (G.Simmel, “Le metropoli e la vita dello spirito”, Armando, p. 36). La condizione stessa dell’individuo blasé è la prova dell’intensificarsi delle possibilità di vita nella metropoli: essa ha un effetto diretto sul suo sistema nervoso (…) pur cercando di ritagliarsi un luogo di riservatezza che gli consenta di coltivare i residui spirituali della sua personalità. (…) Il blasé è dunque il tipo dell’individuo isolato, ingranaggio della macchina-metropoli: la sua coscienza, una volta che è riuscita a parare gli choc che gli provengono dall’esterno, gli dona adesso la sensazione del continuum spazio-temporale in cui egli si muove; probabilmente il blasé non è nemmeno il prodotto dei processi di accelerazione ed espansione, ma ne è solo un sintomo. ( Fonte )

Detto questo ci immergiamo nello spettacolo dopo il buio di sala, in cui sentiamo un rumore, scopriamo dopo che l’attore ha inciampato sulla scena che è composta da un cartone in cui sono riposti vari elementi di scena e una sopraelevazione rossa come il palchetto di un comizio “com’era bello un tempo ascoltare il brusio della piazza affollata e accogliente quando l’oratore irrompeva con la sua voce per l’inizio del suo comizio. Gli italiani ne andavano fieri oggi”.

L’attacco dell’attore è proprio da stand up comedy, che distanzia il pubblico laddove lo spazio esce dal mood della tipica fruizione da spazio da cabaret. L’attore è bravo e deve mettere in campo una prova d’attore, il lavoro di ricerca dell’attenzione. Il racconto assume l’aspetto di una sfida personale, ci riesce per la capacità di dare un’anima a tutti i comprimari, per la finezza delle luci e delle incursioni musicali. Ci riesce perché la drammaturgia realizza un effetto a sorpresa, ci presenta il personaggio, lo fa scorrere con il suo desiderio di rivoluzione, lo imposta con l’attenzione a ogni dettaglio, e poi lo fa sparire per dare spazio al punto di vista di altri, altri personaggi che entrano “a gamba tesa”. Sono altri vissuti che guardano la storia da altre angolazioni. Nove personaggi grotteschi che vogliono raccontare la loro storia, alcuni sfidando il pubblico. Di questi solo di alcuni conosciamo l’identità: Dennis (vecchietto), il Pescecane, Il sistema ti Ama, Lisca, Carne da Cannone, l’Indiano, Kapò, Figura Paterna..

La prima stesura era ambientata in una scuola.

L’autore e regista Luca Zilovich ci racconta: “Il monologo è costruito sull’attore. Nelle Officine Gorilla è sempre così, c’è da fare una tipologia di spettacolo e mi metto nelle condizioni di farlo. Una delle mie paure più grandi di avere una idea e che questa sia travisata, interpretata male. Il punto di partenza di questa scrittura nasce dall’idea di fare una rivoluzione che qui viene “sballata”, uno spettacolo che si adattasse all’attore, da qui nasce questo lavoro. Mi piace quando scrivo partendo da una “mitologia”. Qui c’è una metafora del “Povero Cristo” che cerca di fare una rivolta popolare che viene tradita completamente.”

Francesca Vitale aggiunge che “l’abbinata attore e drammaturgo” è riuscita benissimo. Sia la modalità di aggiustamento dello spettacolo nel tempo, sia la disponibilità dell’attore a studiare ogni piccolo frammento portano gli applausi che lo spettacolo merita.

Michele Puleio si è laureato in fisioterapia e dopo tanti lavori arriva al mestiere dell’attore, come Annalisa laureata in fisica dopo anni di gavetta è una cantante famosa. Per decifrare il codice dell’anima e capire il carattere, la vocazione, il destino, nel suo best seller “Codice dell’Anima” James Hillman si ispira al mito platonico di Er: l’anima di ciascuno di noi sceglie un “compagno segreto” (daimon lo chiamavano i greci, genius i latini, angelo custode i cristiani). Sarà lui a guidarci nel cammino terreno. Eminenti modelli sfilano sotto l’occhio stregonesco di Hillman … Il suo set è affollatissimo. Judy Garland, Joséphine Baker, Woody Allen, Quentin Tarantino, Hannah Arendt, Manuel Manolete, Henry Kissinger, Richard Nixon, Truman Capote, Gandhi, Yehudi Menuhin, Elias Canetti e tanti altri, con le loro storie d’infanzia e maturità abilmente sezionate dal bisturi analitico, testimoniano apoteosi e disastri.

Interventi dal pubblico appassionato “questo spettacolo mi ha dato modo di fare un lavoro introspettivo, ognuno di noi può fare questo, questo è quello che mi è arrivato. Ogni personaggio ci da modo di vedere una parte di noi“. Un altro “siamo un po’ tutti ostaggio dello scatolone, la scatola, lo smartphone, il mercato contemporaneo. Finalmente qualcuno ha ribaltato e preso in ostaggio il tiranno che ci tiene in ostaggio“.

Mi piacerebbe vedere Michele Puleio un giorno interpretare lo spettacolo scritto da Paolo Poli insieme a Ida Omboni che debuttò nel 1969 che riguarda la satira sul mondo creato da Carolina Invernizio.

Blasè ha vinto il premio al Festival di Praga e a maggio debutterà in inglese, grande incoraggiamento!!

Onestà intellettuale

“Per avere rapporti genuini, costruttivi con gli altri è necessario diventare individui. Si diviene individui approfondendo la conoscenza di sè e mantenendosi fedeli alle proprie regole interne, al proprio codice personale di valori, al proprio stile.
Bisogna lasciare che la propria singolarità emerga, anche a costo di apparire degli eccentrici.
È questa la via per sfuggire al conformismo dilagante, alla massificazione, alla accettazione di modelli di comportamento predefiniti “
Italo Calvino – Il Barone Rampante, 1957

fonte

Gisella

La forza della scuola, della curiosità e della passione.

Venerdì pomeriggio mi muovo per andare da ZO, Centro Culture Contemporanee. All’ingresso saluto Silvio Parito che rappresenta il teatro, al botteghino chiedo del mio accredito. Avevo scritto last minute e non sapevo se avessero letto la mia richiesta. Dopo una verifica tutto ok, siamo in attesa che aprano la sala. Saluto Aldo, Emanuela, Enrico, Salvo, Paolo e tanti altri. L’accoglienza è in musica e non solo, Barbara, di cui parlerò dopo, mi offre un bicchierino di liquore a mo’ di benvenuto. L’atmosfera è di riscaldamento, c’è chi canta, chi suona, chi gira per l’ingresso regalando sorrisi. Al Villaggio questo era il rito di benvenuto, importante, la chiamavamo accueil; in questo contesto è coerente, lo capiremo dopo.

In sala mi siedo in prima fila. Rossana, la protagonista, è già in scena. Le avevo promesso che ci sarei stato, non solo perché è stata Liza in uno mio spettacolo in discoteca, infiniti anni fa, ma anche perché molto interessato, meglio dire curioso, alla regia di Gisella Calì, dopo aver visto e apprezzato a febbraio al Piccolo Teatro di Catania lo spettacolo dedicato a Federico Fellini.

Nel frattempo Emanuela non trova il suo telefono, poi, va in macchina, ed è lì, il panico rientra. Scrivo dopo tre giorni da girovago spettatore. Giovedì Crisi di nervi al Verga, venerdì, appunto, Life is a Cabaret e ieri sera, sabato, Piccolo grande Varietà al Teatro Brancati. Tra il secondo e il terzo qualche affinità, scriverò in seguito. Intanto mi dedico a raccontare ogni minuscola sensazione raccolta seduto nella mezza tribuna di ZO, metà della sala ospita tavoli e sedie posti come un cafè concerto. All’uscita chiedo ad un mio amico poeta, Pietro Cagni, una veloce sensazione, non lo vedo da quest’estate, ha collaborato ad un mio laboratorio, è persona compita, timida al punto giusto, felice di incontrarci. Spinto dal mio insistere a dare una sua partecipazione, un suo vissuto, evidenzia l’aspetto sexy. Parto da questo stimolo?

Si, la musica è sexy soprattutto nella combinazione consumistica, avida, intensa dello spettacolo, del comunicare, con passione e decisione lo diventa ancora di più, come Elodie, e tante altre cantanti, l’attrazione è un must. Bisogna avere quel quid come Giorgia Morana in Mein Herr che recita movendosi attorno ad una sedia in sintesi …” è stata una bella faccenda, ora è finita, e anche se prima mi importava, ho bisogno dell’aria aperta, stai meglio senza di me, signor… “. Questa è la sfida del personaggio e la scossa della soddisfazione da astante, da spettatore, da appassionato. Colgo la bravura di questa giovane interprete come una grande attrazione in un contesto generale che sa di Nave da Crociera o Hotel di Las Vegas. Grandi spettacoli per chi è in vacanza. Il teatro, in questi contesti in cui bermuda o smoking sono allo stesso livello, ha un approccio diverso, più disteso e coinvolto. Al primo posto la spensieratezza. Di questa canzone conservo un aneddoto. Nel ‘79 giravo i teatri d’Italia per promuovere VALTUR con uno spettacolo didascalico, dopo una sequenza interpretata da Olivia Girardi proprio con Mein Herr entravo in scena con Emilio per lo sketch di Tommy.

Guardo lo spettacolo e sento la storia intrecciarsi con ogni mio ricordo, Liza Minnelli è un’autorità per noi attori animatori, costruttori di evocazioni. Con sua madre non è lo stesso, ad esclusione del tormentato Somewhere over the rainbow, Way up high, There’s a land that I heard of, Once in a lullaby (Da qualche parte sopra l’arcobaleno Molto in alto C’è una terra di cui ho sentito parlare Una volta in una ninna nanna)

La stessa canzone interpretata da Israel Kaʻanoʻi Kamakawiwo’ole cantante e musicista statunitense nativo delle Hawaii che fa un arrangiamento ondeggiante, viscerale, premiato all’interno del film 50 volte li primo bacio con Adam Sandler e Drew Barrymore. Film in cui il protagonista ogni giorno faceva innamorare la sua amata. Il mood dell’opera teatrale.

Questi sono i collegamenti, vari punti di partenza. Scopriamo o riscopriamo ricordi. Accediamo alle emozioni.

Al secondo posto Two Ladies. Mentre ringrazio in cuor mio per la citazione e l’evocazione mi distraggo e vado al film, a quel gioco “tutti a Berlino hanno una compagna fantastica, qualcuno ne ha due”.

La prima battuta dello spettacolo che acchiappo è “nessuno di loro è pazzo per come dite voi”, non ricordo chi la recita, la ricordo punto, e questo mi basta.

C’è una cura dei particolari, l’atmosfera è camaleontica. Abbraccio Barbara Cracchiolo, le riconosco molte capacità, qui in un ruolo importante per questa messinscena. Barbara, che ho incontrato all’ingresso in teatro, è la coreografa e mi piace confermare la sua timidezza a fianco della sua grinta.

Il merito di questa formazione, del risultato, è della regista Gisella Calì che ha fatto un buon lavoro di scrittura e di casting e ha scelto attori e collaboratori entusiasti in colorate paillettes.

È un biopic con passaggi della storia di Liza Minnelli che non conoscevo. Il dosaggio tra storia e messinscena è perfetto, l’avevo già notato nel primo spettacolo visto a febbraio su Fellini.

C’è un intervallo che divide lo spettacolo in due tempi, si può andare al bar nel frattempo, questa atmosfera mi conferma che siamo all’interno di un circo, un circo pratico nella sua funzione di gioia condivisa, dove non c’è differenza tra attori e spettatori.

Parlo con Laura Sfilio una delle tre protagoniste, colei che interpreta Judy Garland. Mi racconta che l’anno scorso Gisella Calì l’ha chiamata proponendole questo ruolo. Lei risponde che “il personaggio ha una voce scura e lei nasce come soprano leggero (…) E invece mi ha propria convinta, mi ha portato in questo mondo, mi ha parlato con entusiasmo delle ricerche cha aveva fatto su queste figure di Judy di Liza, e mi sono letteralmente innamorata di questo ruolo”. Mi racconta anche che per lei il pianoforte è l’inizio di tutto, ha scoperto che riusciva a suonare e cantare insieme. Le chiedo di Rossana “il mio rapporto con Rossana è meraviglioso. Noi siamo attaccate in camerino strette/strette così, stiamo benissimo!”

Senza farmi mancare niente ascolto Liza da ragazza “Questo spettacolo è molto forte, è nel mio cuore, una regia meravigliosa. Artisti e performer bravissimi che ci fanno sentire in scena speciale. Sono Giorgia Morana, sono una performer di musical, sono catanese. Ho iniziato quando ero piccola, in realtà canto da quando ne ho memoria. Ho iniziato con il musical a 17 anni qui all’Accademia Nazionale del Musical” sottolinea “qui”, mi fa pensare molto, mi commuove. Giorgia sente la regista non solo come guida dello spettacolo, anche come maestra della scuola che ha frequentato.

Poi mi congratulo, stringo la mano a Gisella Calì e le dico con grande piacere che per me questo è il secondo spettacolo con la sua regia. Mi piacerebbe vederne altri.

L’arte è sovrana. A chiudere questa euforia, sembra di essere in una discoteca anni ’40, con movimenti, incontri e sguardi, dove la musica trionfa, vado ad abbracciare Rossana Bonafede. La sua interpretazione fa lo spettacolo, il suo essere attrice narratore è lungo tutto la narrazione. La sua interpretazione è stata la rotta disegnata dalla regista, ed è chiara, il filo conduttore. Una interpretazione composta pregevole e in tanti momenti commovente. La vita e l’arte sono un continuum. Lei e Liza sono uguali, “ci si ritrova perfettamente”, ci sono dei momenti che sono uguali “mi vesto da me, quasi”. Un personaggio che le appartiene davvero tanto. “Un mondo meraviglioso e anche tanto doloroso”.

Tutti bravi, tutti coraggiosi, tutti dediti e appassionati come Antonio Campanella che ci mette tutto se stesso e a cui va il mio pensiero nel scrivere questo racconto del mio vissuto di Life is a Cabaret. Leggo nell’impegno di Antonio, nella sua devozione, un punto di partenza. Auguro ad Antonio la capacità di rompere il guscio che lo contiene e far uscire l’animale interprete, perché a volte la misura va lasciata libera. Questo è per tutti, la verità nasce dal nostro coraggio.

In Coscienza

La parola incosciènza s. f. vuole dire mancanza di consapevolezza di sé, del proprio esistere, dei proprî atti, come condizione temporanea o abituale; comportamento di chi agisce, d’abitudine o in certe occasioni, senza riflessione, senza senso di responsabilità verso sé stesso o verso altri.

Posso sdoppiarla e sottolineare il “in” come prefisso verbale di molte parole derivate dal latino o formate in epoca posteriore. Ovvero come esprimere “un immettere qualcosa”, come “dare vita” a qualcosa.

Al prefisso aggiungo “coscienza” ovvero la facoltà immediata di avvertire, comprendere, valutare i fatti che si verificano nella sfera dell’esperienza individuale o si prospettano in un futuro più o meno vicino; “coscienza” esprime anche la valutazione morale del proprio agire, spesso intesa come criterio supremo della moralità.

Scrivo tutto questo per due motivi. Il primo perché in una misura incosciente a volte straripante pratico la fantasia nella mia vita da sempre in una modalità da animatore come  nel video collegato a questo mio dire; e il secondo perché in coscienza mi sono sentito schiacciato più di una volta dal muro di altri, spesso senza motivo apparente o piuttosto a causa di un istintivo comportamento di chi relazionandosi con me, fanciullo, si scaglia offendendo o travisando.

Premesso che tutto è giusto e funzionale, in verità, in questi casi c’è poco da fare. Si! Perché la cosa più giusta è permettere agli altri di esprimersi, al libertà nel bene e nel male. Come ieri sera un mio caro amico mi ha accompagnato a casa dopo che poco prima mi aveva insultato. Nell’immediatezza ho risposto e ho contenuto l’aggressione perché ho pregato allo stesso tempo che nascesse chiarezza sia in me, che ho subito, sia in lui che si è spinto in una offesa. Lasciare scorrere mi sembra utile consapevolizzando l’accaduto. L’ho ringraziato sotto casa perfino con un bacio sulla guancia.

In questi giorni non ho potuto fare lo stesso con una persona alla quale esprimo mio affetto e stima che ha puntualizzato e mi ha allontanato affermando miei pensieri e/o sentimenti diversi dalla realtà. In coscienza le vorrei dire di entrare in quei bui che, a volte, crea la mente, perché la bellezza sta proprio nel rivalutare le cose, alcuni fatti. Scoprire mondi a cui non si vuole dare ascolto e che invece rappresentano la verità che ci porta all’unisono con il progetto dell’anima, con l’armonia con la nostra piena realizzazione in questa vita. Vorrei dire a questa persona che le sono amico, che prego per lei. L’universo è grande e prima o poi questo messaggio arriverà traducendosi in un abbraccio.

Scrivendo metto le parti di un puzzle sul tavolo, mi sforzo di costruire una immagine più reale possibile anche se diversa dall’immaginario consono ad una ritualità soggettiva.

Argine

La suprema felicità della vita è essere amati per quello che si è.” Scriveva V. Hugo. Il pensiero diverso invece è falsificare la realtà a vantaggio o svantaggio delle macchinazioni della mente. A volte è brutale affondare chi ti sta davanti solo perché non si sa nuotare, per un mal di pancia, oppure perché non si riesce a governare la propria valanga di pensieri. Il tesoro più prezioso della vita è lottare accanto agli altri, questo è l’argine. Un gesto piccolo o grande che sia per dare priorità all’efficienza del dialogo a potenziare ogni livello relazionale perché tutti siamo uguali anche attraversando paludi, o ristoranti di lusso. Rinnovo ogni giorno il cammino dell’empatia, dell’ascolto anche turbolento, perché la mia rivoluzione umana è la rivoluzione di tutti. Fare emergere il coraggio, metterlo in pratica, è la prima forma di incoraggiamento. La primavera della rinascita è qui! Ogni persona ha una missione unica anche se distratta o impercepibile.