A tavola ascoltiamo le preferenze musicali contenute dentro ad un telefono. Il moderno acustico e manifesto. Amo la musica. Sono un paleolitico tipo da mangianastri. Il telefono contenitore jukebox è una bella novità, straordinaria. Il telefono, quello del lucchetto oggi trasformato in data base. Mio figlio conosce la mia collezione di vinili, è nato con la musica. Dopo, appena sul divano di casa, ascolto un brano, lo stesso da mezz’ora. Lo seguo da oggi a pranzo. Ho voglia di capire questa vendemmia di suoni. Questa reale o presunta innovazione. Mi fermo, rileggo. Cerco un modo per raccontare questa mia esperienza, capirla. L’ho memorizzato con Shazam, il brano proposto da mio figlio, la sua selezione. L’ho fatto per ritornare a scoprire ogni sfumatura, capire cosa contiene. Capire le motivazioni. Scintille creative. Che c’è? Tutto qui? Dov’è Topo Gigio? Dov’è Barry White? Stan Getz? Vasco Rossi? Nelson Riddle? Dove sono i musicisti, l’orchestra? Questa è oggi la tenerezza degli adolescenti? Uno scooter che corre di notte. Una partita a pallone e poi a piedi fino a casa. La notte è il giorno, fuga. Questa è la spensieratezza cosa diversa dal gusto, dalla cultura. Ritmi gitani, vitamine di umore, un circo tascabile. Suggestione. Ascolto suoni trascinati, enfatizzati. Situazione inerente. Siete ancora alzati? Sono le 4! Continua a suonare questa colonna sonora di una forma sociale, con loop campionati in un campionato di chi vuole arrivare prima, di chi vuole avere sempre ragione. Più grande di un grande. Chi non accetta di fermarsi e pensare. E’ sempre stato così. Mamma mia! I ragazzi corrono verso la spiaggia e poi una nuotata. Assemblo pensieri per volere bene a questa musica, amarla. C’è l’assenza di una identità. C’è una comunanza di fratelli “mostruosi”. Scusa non ho capito? Che stai dicendo? Sono le reazioni a tentativi di dialogo filosofeggiante. Assenza di una orchestra, di manualità, di uno spartito. C’è solo un dj che funge da coralità, manualità, strumentazione. C’è lo stesso tempo di ritrosia e distorta armonia, sovrapposizioni. Caos. Oggi ho scoperto che questo brano “Look Back At It” piace a mio figlio, 16 anni. Simili sonorità, simili a tante altre, che lasciandole suonare, si susseguono. Una musica uguale, dopo un’altra uguale alla precedente. Un modello che si ripete. Melodie copia e incolla. Dov’è la creatività. Forse sta nel fare di una cosa cento cose più o meno uguali. Accontentarsi? Capisco da sua espressione, mi dice, che questa musica lo fa commuovere. Lo porta a sognare, forse a fermarsi e guardare le stelle. Un’alba, un tramonto, gli occhi di chi ama. Ascolta e disegna ciò che vuole. È una di queste 128 milioni di visualizzazioni su YouTube. Un richiamo di amore e di conseguenza amore, sogni di gioia, di fughe di ribellione e ogni cosa pensabile e impensabile. La musica è necessario che si evolva. È il principio di tutto, evoluzione. Quale è la forma migliore, nessuno lo sa. Il vento porta suoni e li sparge finché non c’è chi li acchiappa e li trasforma in proprie parole. In questo caso è una scena di musical che il mondo sta interpretando senza saperlo. Questo tema musicale sta in una giostra che non si ferma, che ha voglia di attenzione e che scappa dalle stesse perché le coccole possono voler dire che sei piccolo. Ed invece a 16 anni dici che tra due anni ne hai 18 anni. La normalità la crescita troppo stress, trasformata in una corsa senza nessun limite. Il consumo, del consumo. Spreco. Presunta intelligenza. Spreco. A me sembra che il ritornello sia un’invocazione di aiuto non confermata. La controtendenza è una poesia, è sacra utilità, serve al presente e al futuro. Immagino una grande comitiva di miei coetanei tutti assieme a ballare e vivere con lo stesso pathos questo brano. Solidarietà per ogni sensazione e per ogni visione che rappresenta sia essa semplice o complicata, moltiplicata per 128 milioni di percezioni. Posso sbagliarmi? Studio. Buon ascolto e discernimento.