Blasè

Parlare di organizzazioni teatrali è un piacere e se vogliamo un dovere per sollecitare una più vasta attenzione. “Officine Gorilla, in collaborazione con il Teatro della Juta, è un collettivo teatrale costituitosi nel 2016 per realizzare spettacoli con drammaturgie inedite. Pensiamo a un teatro fortemente legato alla collettività, come una finestra da cui lo spettatore possa affacciarsi e riconoscere il paesaggio che si trova davanti. Non dipingiamo paesaggi, certo, ma raccontiamo storie attraverso un teatro che amichevolmente chiamiamo “meticcio”, per la facilità con cui si lascia contaminare dalla danza, dal teatro di figura, dall’animazione, dalla musica, ma anche da ciò che ci sta intorno, dalle chiacchiere al bar, dai discorsi fra amici, dalle notizie sui giornali, dalle mode dei teenager e dalle tradizioni dei nostri nonni.

Questa è la presentazione della Compagnia che ho visto all’opera ieri sera da Zo Centro Culture Contemporanee per la rassegna teatrale Palco Off a cura dell’Associazione Culturale La Memoria del Teatro E.T.S.

Ieri mattina Renato Lombardo mi ha invitato a vedere Blasè di Luca Zilovich con Michele Puleio che “Se non facessi l’attore, sarei un macellaio“, e ha fatto bene, non solo perché l’occasione ha fatto si che venisse con me anche mia figlia, perché di questo connubio “meticcio” tra stand up comedy, cabaret, teatro e prova d’attore ho voglia di parlarne oltre al gusto di vedere camper e furgone parcheggiati fuori dal teatro che fanno sempre circo viaggiante, spero siano della Compagnia.

Il primo quid per una scrittura perché mi piace che sia uno spettacolo lavorato, uno spettacolo che è partito con una idea e una regia e man mano, negli anni, è ciò che ho visto.

Prima di tutto sono andato a cercare il significato di Blasè e ho trovato: oggi che gli sviluppi tecnologici coinvolgono sempre di più gli individui su larga scala (…) nella vita della metropoli moderna almeno due tipi umani si distinguono: il primo è il blasé, di cui si è occupato Georg Simmel; il secondo è il flâneur , reso celebre dalla poesia di Baudelaire e riportato in auge, negli anni ’30 del secolo scorso, da Walter Benjamin. La metropoli plasma il fattore della vita individuale che in essa si svolge: nel blasé, ad esempio, tutte le contraddizioni che essa porta con sé si sono, in qualche modo, reificate – specialmente da un punto di vista psicologico; secondo Simmel: “la base psicologica su cui si erge il tipo delle individualità metropolitane è l’intensificazione della vita nervosa, che è prodotta dal rapido e ininterrotto avvicendarsi di impressioni esteriori e interiori” (G.Simmel, “Le metropoli e la vita dello spirito”, Armando, p. 36). La condizione stessa dell’individuo blasé è la prova dell’intensificarsi delle possibilità di vita nella metropoli: essa ha un effetto diretto sul suo sistema nervoso (…) pur cercando di ritagliarsi un luogo di riservatezza che gli consenta di coltivare i residui spirituali della sua personalità. (…) Il blasé è dunque il tipo dell’individuo isolato, ingranaggio della macchina-metropoli: la sua coscienza, una volta che è riuscita a parare gli choc che gli provengono dall’esterno, gli dona adesso la sensazione del continuum spazio-temporale in cui egli si muove; probabilmente il blasé non è nemmeno il prodotto dei processi di accelerazione ed espansione, ma ne è solo un sintomo. ( Fonte )

Detto questo ci immergiamo nello spettacolo dopo il buio di sala, in cui sentiamo un rumore, scopriamo dopo che l’attore ha inciampato sulla scena che è composta da un cartone in cui sono riposti vari elementi di scena e una sopraelevazione rossa come il palchetto di un comizio “com’era bello un tempo ascoltare il brusio della piazza affollata e accogliente quando l’oratore irrompeva con la sua voce per l’inizio del suo comizio. Gli italiani ne andavano fieri oggi”.

L’attacco dell’attore è proprio da stand up comedy, che distanzia il pubblico laddove lo spazio esce dal mood della tipica fruizione da spazio da cabaret. L’attore è bravo e deve mettere in campo una prova d’attore, il lavoro di ricerca dell’attenzione. Il racconto assume l’aspetto di una sfida personale, ci riesce per la capacità di dare un’anima a tutti i comprimari, per la finezza delle luci e delle incursioni musicali. Ci riesce perché la drammaturgia realizza un effetto a sorpresa, ci presenta il personaggio, lo fa scorrere con il suo desiderio di rivoluzione, lo imposta con l’attenzione a ogni dettaglio, e poi lo fa sparire per dare spazio al punto di vista di altri, altri personaggi che entrano “a gamba tesa”. Sono altri vissuti che guardano la storia da altre angolazioni. Nove personaggi grotteschi che vogliono raccontare la loro storia, alcuni sfidando il pubblico. Di questi solo di alcuni conosciamo l’identità: Dennis (vecchietto), il Pescecane, Il sistema ti Ama, Lisca, Carne da Cannone, l’Indiano, Kapò, Figura Paterna..

La prima stesura era ambientata in una scuola.

L’autore e regista Luca Zilovich ci racconta: “Il monologo è costruito sull’attore. Nelle Officine Gorilla è sempre così, c’è da fare una tipologia di spettacolo e mi metto nelle condizioni di farlo. Una delle mie paure più grandi di avere una idea e che questa sia travisata, interpretata male. Il punto di partenza di questa scrittura nasce dall’idea di fare una rivoluzione che qui viene “sballata”, uno spettacolo che si adattasse all’attore, da qui nasce questo lavoro. Mi piace quando scrivo partendo da una “mitologia”. Qui c’è una metafora del “Povero Cristo” che cerca di fare una rivolta popolare che viene tradita completamente.”

Francesca Vitale aggiunge che “l’abbinata attore e drammaturgo” è riuscita benissimo. Sia la modalità di aggiustamento dello spettacolo nel tempo, sia la disponibilità dell’attore a studiare ogni piccolo frammento portano gli applausi che lo spettacolo merita.

Michele Puleio si è laureato in fisioterapia e dopo tanti lavori arriva al mestiere dell’attore, come Annalisa laureata in fisica dopo anni di gavetta è una cantante famosa. Per decifrare il codice dell’anima e capire il carattere, la vocazione, il destino, nel suo best seller “Codice dell’Anima” James Hillman si ispira al mito platonico di Er: l’anima di ciascuno di noi sceglie un “compagno segreto” (daimon lo chiamavano i greci, genius i latini, angelo custode i cristiani). Sarà lui a guidarci nel cammino terreno. Eminenti modelli sfilano sotto l’occhio stregonesco di Hillman … Il suo set è affollatissimo. Judy Garland, Joséphine Baker, Woody Allen, Quentin Tarantino, Hannah Arendt, Manuel Manolete, Henry Kissinger, Richard Nixon, Truman Capote, Gandhi, Yehudi Menuhin, Elias Canetti e tanti altri, con le loro storie d’infanzia e maturità abilmente sezionate dal bisturi analitico, testimoniano apoteosi e disastri.

Interventi dal pubblico appassionato “questo spettacolo mi ha dato modo di fare un lavoro introspettivo, ognuno di noi può fare questo, questo è quello che mi è arrivato. Ogni personaggio ci da modo di vedere una parte di noi“. Un altro “siamo un po’ tutti ostaggio dello scatolone, la scatola, lo smartphone, il mercato contemporaneo. Finalmente qualcuno ha ribaltato e preso in ostaggio il tiranno che ci tiene in ostaggio“.

Mi piacerebbe vedere Michele Puleio un giorno interpretare lo spettacolo scritto da Paolo Poli insieme a Ida Omboni che debuttò nel 1969 che riguarda la satira sul mondo creato da Carolina Invernizio.

Blasè ha vinto il premio al Festival di Praga e a maggio debutterà in inglese, grande incoraggiamento!!

Onestà intellettuale

“Per avere rapporti genuini, costruttivi con gli altri è necessario diventare individui. Si diviene individui approfondendo la conoscenza di sè e mantenendosi fedeli alle proprie regole interne, al proprio codice personale di valori, al proprio stile.
Bisogna lasciare che la propria singolarità emerga, anche a costo di apparire degli eccentrici.
È questa la via per sfuggire al conformismo dilagante, alla massificazione, alla accettazione di modelli di comportamento predefiniti “
Italo Calvino – Il Barone Rampante, 1957

fonte

Gisella

La forza della scuola, della curiosità e della passione.

Venerdì pomeriggio mi muovo per andare da ZO, Centro Culture Contemporanee. All’ingresso saluto Silvio Parito che rappresenta il teatro, al botteghino chiedo del mio accredito. Avevo scritto last minute e non sapevo se avessero letto la mia richiesta. Dopo una verifica tutto ok, siamo in attesa che aprano la sala. Saluto Aldo, Emanuela, Enrico, Salvo, Paolo e tanti altri. L’accoglienza è in musica e non solo, Barbara, di cui parlerò dopo, mi offre un bicchierino di liquore a mo’ di benvenuto. L’atmosfera è di riscaldamento, c’è chi canta, chi suona, chi gira per l’ingresso regalando sorrisi. Al Villaggio questo era il rito di benvenuto, importante, la chiamavamo accueil; in questo contesto è coerente, lo capiremo dopo.

In sala mi siedo in prima fila. Rossana, la protagonista, è già in scena. Le avevo promesso che ci sarei stato, non solo perché è stata Liza in uno mio spettacolo in discoteca, infiniti anni fa, ma anche perché molto interessato, meglio dire curioso, alla regia di Gisella Calì, dopo aver visto e apprezzato a febbraio al Piccolo Teatro di Catania lo spettacolo dedicato a Federico Fellini.

Nel frattempo Emanuela non trova il suo telefono, poi, va in macchina, ed è lì, il panico rientra. Scrivo dopo tre giorni da girovago spettatore. Giovedì Crisi di nervi al Verga, venerdì, appunto, Life is a Cabaret e ieri sera, sabato, Piccolo grande Varietà al Teatro Brancati. Tra il secondo e il terzo qualche affinità, scriverò in seguito. Intanto mi dedico a raccontare ogni minuscola sensazione raccolta seduto nella mezza tribuna di ZO, metà della sala ospita tavoli e sedie posti come un cafè concerto. All’uscita chiedo ad un mio amico poeta, Pietro Cagni, una veloce sensazione, non lo vedo da quest’estate, ha collaborato ad un mio laboratorio, è persona compita, timida al punto giusto, felice di incontrarci. Spinto dal mio insistere a dare una sua partecipazione, un suo vissuto, evidenzia l’aspetto sexy. Parto da questo stimolo?

Si, la musica è sexy soprattutto nella combinazione consumistica, avida, intensa dello spettacolo, del comunicare, con passione e decisione lo diventa ancora di più, come Elodie, e tante altre cantanti, l’attrazione è un must. Bisogna avere quel quid come Giorgia Morana in Mein Herr che recita movendosi attorno ad una sedia in sintesi …” è stata una bella faccenda, ora è finita, e anche se prima mi importava, ho bisogno dell’aria aperta, stai meglio senza di me, signor… “. Questa è la sfida del personaggio e la scossa della soddisfazione da astante, da spettatore, da appassionato. Colgo la bravura di questa giovane interprete come una grande attrazione in un contesto generale che sa di Nave da Crociera o Hotel di Las Vegas. Grandi spettacoli per chi è in vacanza. Il teatro, in questi contesti in cui bermuda o smoking sono allo stesso livello, ha un approccio diverso, più disteso e coinvolto. Al primo posto la spensieratezza. Di questa canzone conservo un aneddoto. Nel ‘79 giravo i teatri d’Italia per promuovere VALTUR con uno spettacolo didascalico, dopo una sequenza interpretata da Olivia Girardi proprio con Mein Herr entravo in scena con Emilio per lo sketch di Tommy.

Guardo lo spettacolo e sento la storia intrecciarsi con ogni mio ricordo, Liza Minnelli è un’autorità per noi attori animatori, costruttori di evocazioni. Con sua madre non è lo stesso, ad esclusione del tormentato Somewhere over the rainbow, Way up high, There’s a land that I heard of, Once in a lullaby (Da qualche parte sopra l’arcobaleno Molto in alto C’è una terra di cui ho sentito parlare Una volta in una ninna nanna)

La stessa canzone interpretata da Israel Kaʻanoʻi Kamakawiwo’ole cantante e musicista statunitense nativo delle Hawaii che fa un arrangiamento ondeggiante, viscerale, premiato all’interno del film 50 volte li primo bacio con Adam Sandler e Drew Barrymore. Film in cui il protagonista ogni giorno faceva innamorare la sua amata. Il mood dell’opera teatrale.

Questi sono i collegamenti, vari punti di partenza. Scopriamo o riscopriamo ricordi. Accediamo alle emozioni.

Al secondo posto Two Ladies. Mentre ringrazio in cuor mio per la citazione e l’evocazione mi distraggo e vado al film, a quel gioco “tutti a Berlino hanno una compagna fantastica, qualcuno ne ha due”.

La prima battuta dello spettacolo che acchiappo è “nessuno di loro è pazzo per come dite voi”, non ricordo chi la recita, la ricordo punto, e questo mi basta.

C’è una cura dei particolari, l’atmosfera è camaleontica. Abbraccio Barbara Cracchiolo, le riconosco molte capacità, qui in un ruolo importante per questa messinscena. Barbara, che ho incontrato all’ingresso in teatro, è la coreografa e mi piace confermare la sua timidezza a fianco della sua grinta.

Il merito di questa formazione, del risultato, è della regista Gisella Calì che ha fatto un buon lavoro di scrittura e di casting e ha scelto attori e collaboratori entusiasti in colorate paillettes.

È un biopic con passaggi della storia di Liza Minnelli che non conoscevo. Il dosaggio tra storia e messinscena è perfetto, l’avevo già notato nel primo spettacolo visto a febbraio su Fellini.

C’è un intervallo che divide lo spettacolo in due tempi, si può andare al bar nel frattempo, questa atmosfera mi conferma che siamo all’interno di un circo, un circo pratico nella sua funzione di gioia condivisa, dove non c’è differenza tra attori e spettatori.

Parlo con Laura Sfilio una delle tre protagoniste, colei che interpreta Judy Garland. Mi racconta che l’anno scorso Gisella Calì l’ha chiamata proponendole questo ruolo. Lei risponde che “il personaggio ha una voce scura e lei nasce come soprano leggero (…) E invece mi ha propria convinta, mi ha portato in questo mondo, mi ha parlato con entusiasmo delle ricerche cha aveva fatto su queste figure di Judy di Liza, e mi sono letteralmente innamorata di questo ruolo”. Mi racconta anche che per lei il pianoforte è l’inizio di tutto, ha scoperto che riusciva a suonare e cantare insieme. Le chiedo di Rossana “il mio rapporto con Rossana è meraviglioso. Noi siamo attaccate in camerino strette/strette così, stiamo benissimo!”

Senza farmi mancare niente ascolto Liza da ragazza “Questo spettacolo è molto forte, è nel mio cuore, una regia meravigliosa. Artisti e performer bravissimi che ci fanno sentire in scena speciale. Sono Giorgia Morana, sono una performer di musical, sono catanese. Ho iniziato quando ero piccola, in realtà canto da quando ne ho memoria. Ho iniziato con il musical a 17 anni qui all’Accademia Nazionale del Musical” sottolinea “qui”, mi fa pensare molto, mi commuove. Giorgia sente la regista non solo come guida dello spettacolo, anche come maestra della scuola che ha frequentato.

Poi mi congratulo, stringo la mano a Gisella Calì e le dico con grande piacere che per me questo è il secondo spettacolo con la sua regia. Mi piacerebbe vederne altri.

L’arte è sovrana. A chiudere questa euforia, sembra di essere in una discoteca anni ’40, con movimenti, incontri e sguardi, dove la musica trionfa, vado ad abbracciare Rossana Bonafede. La sua interpretazione fa lo spettacolo, il suo essere attrice narratore è lungo tutto la narrazione. La sua interpretazione è stata la rotta disegnata dalla regista, ed è chiara, il filo conduttore. Una interpretazione composta pregevole e in tanti momenti commovente. La vita e l’arte sono un continuum. Lei e Liza sono uguali, “ci si ritrova perfettamente”, ci sono dei momenti che sono uguali “mi vesto da me, quasi”. Un personaggio che le appartiene davvero tanto. “Un mondo meraviglioso e anche tanto doloroso”.

Tutti bravi, tutti coraggiosi, tutti dediti e appassionati come Antonio Campanella che ci mette tutto se stesso e a cui va il mio pensiero nel scrivere questo racconto del mio vissuto di Life is a Cabaret. Leggo nell’impegno di Antonio, nella sua devozione, un punto di partenza. Auguro ad Antonio la capacità di rompere il guscio che lo contiene e far uscire l’animale interprete, perché a volte la misura va lasciata libera. Questo è per tutti, la verità nasce dal nostro coraggio.

In Coscienza

La parola incosciènza s. f. vuole dire mancanza di consapevolezza di sé, del proprio esistere, dei proprî atti, come condizione temporanea o abituale; comportamento di chi agisce, d’abitudine o in certe occasioni, senza riflessione, senza senso di responsabilità verso sé stesso o verso altri.

Posso sdoppiarla e sottolineare il “in” come prefisso verbale di molte parole derivate dal latino o formate in epoca posteriore. Ovvero come esprimere “un immettere qualcosa”, come “dare vita” a qualcosa.

Al prefisso aggiungo “coscienza” ovvero la facoltà immediata di avvertire, comprendere, valutare i fatti che si verificano nella sfera dell’esperienza individuale o si prospettano in un futuro più o meno vicino; “coscienza” esprime anche la valutazione morale del proprio agire, spesso intesa come criterio supremo della moralità.

Scrivo tutto questo per due motivi. Il primo perché in una misura incosciente a volte straripante pratico la fantasia nella mia vita da sempre in una modalità da animatore come  nel video collegato a questo mio dire; e il secondo perché in coscienza mi sono sentito schiacciato più di una volta dal muro di altri, spesso senza motivo apparente o piuttosto a causa di un istintivo comportamento di chi relazionandosi con me, fanciullo, si scaglia offendendo o travisando.

Premesso che tutto è giusto e funzionale, in verità, in questi casi c’è poco da fare. Si! Perché la cosa più giusta è permettere agli altri di esprimersi, al libertà nel bene e nel male. Come ieri sera un mio caro amico mi ha accompagnato a casa dopo che poco prima mi aveva insultato. Nell’immediatezza ho risposto e ho contenuto l’aggressione perché ho pregato allo stesso tempo che nascesse chiarezza sia in me, che ho subito, sia in lui che si è spinto in una offesa. Lasciare scorrere mi sembra utile consapevolizzando l’accaduto. L’ho ringraziato sotto casa perfino con un bacio sulla guancia.

In questi giorni non ho potuto fare lo stesso con una persona alla quale esprimo mio affetto e stima che ha puntualizzato e mi ha allontanato affermando miei pensieri e/o sentimenti diversi dalla realtà. In coscienza le vorrei dire di entrare in quei bui che, a volte, crea la mente, perché la bellezza sta proprio nel rivalutare le cose, alcuni fatti. Scoprire mondi a cui non si vuole dare ascolto e che invece rappresentano la verità che ci porta all’unisono con il progetto dell’anima, con l’armonia con la nostra piena realizzazione in questa vita. Vorrei dire a questa persona che le sono amico, che prego per lei. L’universo è grande e prima o poi questo messaggio arriverà traducendosi in un abbraccio.

Scrivendo metto le parti di un puzzle sul tavolo, mi sforzo di costruire una immagine più reale possibile anche se diversa dall’immaginario consono ad una ritualità soggettiva.

Argine

La suprema felicità della vita è essere amati per quello che si è.” Scriveva V. Hugo. Il pensiero diverso invece è falsificare la realtà a vantaggio o svantaggio delle macchinazioni della mente. A volte è brutale affondare chi ti sta davanti solo perché non si sa nuotare, per un mal di pancia, oppure perché non si riesce a governare la propria valanga di pensieri. Il tesoro più prezioso della vita è lottare accanto agli altri, questo è l’argine. Un gesto piccolo o grande che sia per dare priorità all’efficienza del dialogo a potenziare ogni livello relazionale perché tutti siamo uguali anche attraversando paludi, o ristoranti di lusso. Rinnovo ogni giorno il cammino dell’empatia, dell’ascolto anche turbolento, perché la mia rivoluzione umana è la rivoluzione di tutti. Fare emergere il coraggio, metterlo in pratica, è la prima forma di incoraggiamento. La primavera della rinascita è qui! Ogni persona ha una missione unica anche se distratta o impercepibile.