Teatro

Bozza di soliloquio, terza , La retorica dell’avanguardia…

La necessità di creare arte teatrale che oltre ad appartenerci, è al pubblico, godimento, nutrimento, appagamento.

Questo è il punto di partenza di questo doveroso leggero e autoriale. Punto di domanda e coach espressivo.

Che cosa sia il pubblico e che cosa è rimasto del pubblico. Oggetto dell’equazione, il teatro è il dominio di due fattori, la scena e colui che la guarda. Senza uno di essi non esiste la rappresentazione. Meno male che voglia fare la sua parte. La penna sul foglio è il movimento liberatorio ancor prima del primo giorno di prove. Autobiografico. Il senso al personale manifesto. Mamma mia. Incoraggiante dalla finestra della pazienza.

Vedo la mia scrittura della voce, i tratti del progetto di armonizzazione espressiva, farsi spazio. Li vedo compiere una rivoluzione puntando il dito alla sfiducia. Ribalta l’approssimazione. Mi sento emarginato dall’emarginazione, io. Ho attraversato tempi melodrammatici, li ho con me. Valigie belle e brutte. Ho applaudito un esercito di apparenze, lirico in quanto magistrale.

Suggestioni maestre, magnifiche “esperienza” al plurale, sorprese.

Alternanza scuola lavoro con una palla di un laboratorio in agire, ho. Adesso. Sto. Recito.  Mi muovo dopo aver parlato con la luna, con la raffigurazione della mia spiritualità. Con ogni micro macro essenza di un voto, neanche fatto da me. Il voto del magnifico eloquente drammaturgico. Insito.

Insisto, so perché. Cause, Giove. Con questa propensione ho percepito, quel tempo, il mio disgusto. Da qui tutto accade, lo scrivo, due punti. Quattro anni fa circa. Teatro. Quella volta incuriosito oltre modo perché l’opera è rappresentata in uno spazio dedicato alla danza di Amici gestori. Luogo di movimenti, piccolo spazio di usuale dimenamento di corpi. Centro di produzione. Avevo visto, in diversi luoghi, l’attore protagonista e una volta il regista in locandina.

Quanto vi sono grato oggi maschere disumane, approfittatori di diseguaglianze, del bene placido del sonno dell’ignoranza e delle cattive compagnie. Avevo creduto alla sua, tua, ricerca. Dopo quella esperienza e dopo alcune altre, ho iniziato ad odiarti compassionevolmente come un fratello che sprona il livello di imbecillità a rientrare dal fuori misura in colui che ama.

Smetto di ascoltare i fuori posto. Pausa. Mi interrogo. Torno ad allora. Alla vocazione. Dopo appena 20’ avrei voluto bloccare la porcheria dilagante, il frastuono di voci. Volevo chiedere a gran voce di smettere di tradire insanamente e collegialmente i principi base del buon gusto. Stavo male, e ho continuato a soffrire fino alla fine dello spettacolo, atroce. Si può parlare di vuoto, inutilità, cialtronerie, assenza di mestiere, assenza di amore, assenza di vocazione. Sembra facile lamentarsi, non lo è.

Di cosa ti spacci? Dico a me. Dentro c’è una responsabilità grande. In essa c’è lo spauracchio del giudizio e del gioco degli specchi. Mi sto giudicando? Mi lamento, fuggo? Cosa sta accadendo? Mi sono vomitato addosso ciò a cui ho assistito. È roba mia?

Il mio anagrafico in fatto di fruizione e partecipazione ad ogni sorta di arte mi ha appena messo una mano sulla spalla in segno di ascolto e approvazione. Il palcoscenico ha spalancato le sue braccia perché ha sentito manifesta la mancanza di dignità. Sa di successi e insuccessi.

Conosco il senso da borghese maratoneta su ogni cosa che si muove con il senso dell’agire, il camaleontico del costume di scena. I sapori autentici, quelli maiuscoli anche quando sono minuscoli. La luce non soltanto fonte, soprattutto riflesso, armonia.

Il like odierno è vuoto colorato. Lo scarabocchio confuso. Alimento colloqui con la mia anima imbarbarita.

Eccole le anime gemelle. Le relazioni rimodulanti. Ho. Qua.

Decidere ed essere accolto dalla vita, la mia, nel voler mettere in scena il teatro al pubblico. Paroloni. Verità

La grande sfida della rappresentazione.

Quando senti una tale indignazione, parti dal me stesso.

Quando senti che la tua vocazione è stata offesa, ascolti il silenzio acido del sudore. La poesia non basta, l’unica cosa agire nel reagire.

Nuova esperienza. Assieme di stimoli configurati contemporanei. Aree di pensieri per altri pensieri. Suggestioni da suggestioni per suggestionare. Suggestioni, suggerite dal suggeritore quando non ce bisogno perché la tua parte la conosci bene, più che bene.

Voce guida ”la stabilità mi spaventa. È un problema mio” La sincerità è impagabile.

Come “l’impossibilità di conciliare l’amore con il nostro lavoro.”

Certi impulsi rimangono in una loro amorevole confusione, incoraggi amore.

Vedo trasformata la tempesta in luci dette. Fruizione di sconosciuti. La loro spesa per casa è mia responsabilità.

 

 

Didascalia foto da FB: Federica Rosellini, nella solitudine dei campi di cotone, ph_Salvatore Pastore

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